La linea è: parlare con una voce sola, ma anche dire le cose come stanno. La Lega di governo e di battaglia si prepara ad affrontare un sentiero sempre in bilico: convivere all’esecutivo con vecchi pezzi del Conte 2 e assicurare fedeltà al Draghi 1. Non è facile, soprattutto quando Speranza usa “il modello Conte” per chiudere gli impianti sciistici a poche ore dalla riapertura. E cioè quando gli operatori hanno già preparato le piste, assunto personale, investito sulla sicurezza anti-Covid, acceso i riscaldamenti negli hotel, acquistato gli alimenti per le colazioni. Un fiume di denaro buttato al vento.
Possibile non si potesse firmare prima l’ordinanza? Palazzo Chigi ha fatto sapere che il provvedimento firmato dal ministro della Salute era stato “condiviso” anche da Draghi. Ma questo non basta a placare gli animi. La maggioranza ribolle: non tanto a sinistra, dove Pd e M5S hanno sempre appoggiato le scelte del collega Speranza, ma è soprattutto nel centrodestra che la notizia crea irritazioni cutanee. Da ieri sera nel Carroccio è un continuo fioccare di dichiarazioni al vetriolo: per ora Draghi resta fuori dal mirino, ben puntato sul ministro di Leu, ma il fuoco "amico" è un segnale che la Lega dà all’intera compagine di governo. "Con Speranza abbiamo iniziato malissimo - dice al Giornale.it una fonte parlamentare - se tra un mese le cose restano così, potrebbe iniziare ad emergere qualche problema". Draghi avvisato, mezzo salvato.
La strategia sembra quella del bastone e della carota. Aver conquistato tre ministeri di peso (soprattuto il Mise con Giorgetti) ed essere tornati al governo sono due occasioni che nessuno vuole sprecare. Ma non ad ogni costo. Per questo il Carroccio sta cercando un modo per imporsi sul governo: avanzare compatti, checché ne dicano i vari retroscena, mostrarsi come forza responsabile e picchiare duro solo sugli errori di alcuni ministri ereditati dalla stagione contiana. Nella pratica: critiche a Arcuri, liti con Ricciardi, bordate sul Cts. Senza tuttavia provocare strappi.
Per saggiare la linea leghista basta leggersi le dichiarazioni delle ultime ore. Le parole di Zaia, volto della Lega del Nord più pragmatica, sono durissime: affondi contro la richiesta di lockdown da parte di Walter Ricciardi ("pessimo incidente di percorso"), richiesta di risarcimenti per la mancata apertura degli impianti sciistici e soprattutto l’invito ad un cambio di passo sul timing delle decisioni. "È raccapricciante e imbarazzante vedere un'ordinanza per chiudere le piste da sci quattro ore prima della possibilità di riaprirle", ha detto il governatore. E non è l’unico. La ben organizzata comunicazione leghista fa parlare politici locali e responsabili del turismo ad ogni livello. Il capogruppo in Piemonte, Alberto Preioni: "La montagna merita più rispetto". Gian Marco Centinaio, a capo del dipartimento sul Turismo: "Non siamo più nel governo Conte, gli italiani devono essere rispettati. Draghi intervenga". Massimo Casanova, eurodeputato componente della Commissione Ue Turismo: "Intollerabile continuare a sconvolgere la vita delle imprese". E stasera Massimo Garavaglia, neo ministro al Turismo, nella sua prima uscita da "collega" di Speranza, ha subito gettato benzina sul fuoco. Come risolverà le frizione Draghi? Vedremo. Salvini intanto dà un colpo al cerchio e uno alla botte: critica gli annunci "della domenica che cambiano la vita del lunedì", ma non tocca il premier ("saremo leali, coerenti e collaborativi").
Resta da capire se questo doppio vestito, da una parte il doppiopetto dall’altra la mimetica, è una scelta o una necessità per non perdere troppi consensi a destra (vedi Meloni). Oppure, ancora peggio, se sono i primi sintomi di un partito lacerato. I retroscena parlano di divisioni nette, con Salvini che avrebbe addirittura fiutato una presunta trappola tesa da Giorgetti: costruire la nuova Lega moderata, avviare l’assalto alla segreteria e magari lanciare Zaia come possibile leader. Interpellati su questo punto, gran parte dei leghisti nega. Qualcuno ride divertito. Altri invece glissano: non parlano gli esponenti di chiara fede salviniana, sbattono giù il telefono quelli considerati vicini a Giorgetti. Dopo qualche telefonata si muove anche il vertice della comunicazione, la quale solitamente interviene solo nelle occasioni speciali. Nulla di nuovo, tutto sommato. Nel governo gialloverde le due anime leghiste, quella moderata e la più militante, hanno già coabitato, solo a fortune inverse: nei dicasteri allora c’erano Fontana e Salvini, oggi Garavaglia e Giorgetti.
"Sono tre anni che va avanti questa storia della Lega divisa - dice un deputato - Ma siamo tutti in perfetta sintonia politica. Partecipare al governo Draghi è stata una scelta di Salvini, non di Giorgetti". Certo nelle scorse settimane molti hanno messo sul bilancino vantaggi e svantaggi, gli anti-europeisti alla Borghi-Bagnai hanno dovuto ingoiare un bel rospo ("per loro è un momento particolare"), ma alla fine "anche nelle chat interne non ci sono voci negative". La Lega è un partito "militare": per rilasciare dichiarazioni ufficiali serve il via libera dei vertici. Alla fine sono pochi quelli che rompono il giuramento: negli anni chi ha sgarrato è stato fatto politicamente fuori. E poi è vero che Draghi e Giorgetti sono amici. È vero che il neo-ministro è di fede atlantista più di quanto lo sia stato in passato Salvini. E ovviamente Zaia ha tanti consensi. "Ma a Giancarlo il partito non interessa - ragiona l’onorevole - È un uomo di palazzo, da dietro le quinte: non guiderebbe mai la Lega.
Zaia invece è il Veneto, e secondo me pensa alla segreteria ancor meno di Giorgetti. E poi guarda che le interviste di oggi erano tutte concordate…". Come a dire: non si muove foglia che Salvini non voglia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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