È ancora in corso il processo a Catania su presunti favori elettorali effettuati nella gestione del Cara di Mineo, l'ultima udienza era slittata allo scorso aprile ma l'emergenza coronavirus ha bloccato il procedimento. Non c'è quindi una verità giudiziaria sulla vicenda, tuttavia è possibile tracciare un quadro politico non certo esilarante: molti dipendenti infatti, hanno dichiarato negli anni passati che, per lavorare all'interno della struttura di accoglienza di Mineo, occorreva essere iscritti al Nuovo centrodestra, creatura politica dell'ex ministro Angelino Alfano.
Questa premessa è d'obbligo per comprendere il paradosso a cui si è giunti nelle scorse ore, con alcuni degli ex dipendenti del Cara che hanno chiesto la riapertura del centro. Ma soprattutto, con gli stessi ex operatori che hanno parlato di scelte dettate da opportunità elettorali alla base della chiusura della struttura.
Il Cara di Mineo, aperto nel 2011 sull'onda dell'emergenza migratoria generata dalle primavere arabe, tra il 2014 e il 2017 è arrivato a essere il più grande centro di accoglienza d'Europa. Negli anni più caldi della crisi migratoria ha ospitato anche più di 4.000 persone. Una circostanza che ha reso il Cara come l'unica vera "industria" del territorio del Calatino, comprensorio della provincia di Catania costretto a convivere con questa struttura.
La presenza a Mineo del centro, ha rappresentato croce e delizia per il territorio. Croce perché sono stati parecchi i problemi di sicurezza legati al Cara: dall'occupazione delle strade durante le proteste dei migranti all'arrivo all'interno della struttura della mafia nigeriana, che qui ha messo radici tanto da fare del centro la propria base per lo spaccio e lo sfruttamento della prostituzione. Così come accertato da diverse inchieste della procura di Catania negli ultimi anni.
Delizia però perché, per l'appunto, il Cara ha dato lavoro a più di 200 persone, vero e proprio ossigeno soprattutto per la politica locale. Già nel 2018 però si è avuto un primo drastico ridimensionamento della struttura, vista la diminuzione degli sbarchi. Matteo Salvini, dal mese di giugno di quell'anno alla guida del Viminale, ha promesso a più riprese la definitiva chiusura del Cara. Nel luglio del 2019 gli ultimi migranti hanno lasciato il centro, da allora rimasto vuoto.
L'impennata degli sbarchi coniugata ai timori legati al coronavirus, ha dato lo spunto a 59 ex dipendenti di rivolgersi all'attuale ministro Luciana Lamorgese per chiedere la riapertura della struttura: “Di fronte a una nuova emergenza umanitaria si cercano soluzioni, spesso anche assai improbabili, quando invece la soluzione è già pronta – si legge in una lettera dei lavoratori – Per accogliere i migranti esiste già il Cara di Mineo: basta solo riattivarlo! Ed oltre alla struttura c'è un patrimonio immateriale fatto di professionalità e competenze, espresso da centinaia di ex dipendenti, operatori sociali e professionisti dell'accoglienza”.
“Al Governo italiano – si legge ancora nella missiva – costa di più noleggiare le navi che rilocare la struttura di contrada Cucinella. Riaprire il Cara farebbe risparmiare lo Stato e poi restituirebbe un'occupazione a diverse centinaia di lavoratori, come coloro che scrivono, espulsi dal mercato del lavoro non perché inutili, ma solo perché alla politica serviva presentare uno scalpo. Si è costruito consenso mediatico togliendo il lavoro alle persone!”
In poche
parole, più che all'emergenza immigrazione degli ultimi mesi nella lettera il principale riferimento è alla possibilità per gli operatori di riavere il proprio posto di lavoro all'interno dell'industria dell'accoglienza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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