Ma adesso tra Renzi e Padoan aumenta il rischio cortocircuito

Il ministro dell'Economia non ha digerito la regia del premier

Raffaella Malito

Rischio cortocircuito nei rapporti Padoan-Renzi. Il numero uno di via XX Settembre è sempre più in un angolo e ha mal digerito il modo con cui il premier Matteo Renzi sta gestendo il dossier Mps.

Il presidente del Consiglio preme da tempo per una soluzione di mercato e fa il tifo per le banche d'affari, in particolare per Jp Morgan e Mediobanca che sono entrate in partita per fare da capofila al consorzio di garanzia per la ricapitalizzazione dell'istituto senese. Emblematica in questo senso l'interrogazione del presidente dei deputati di Forza Italia, Renato Brunetta, al capo del Tesoro, Pier Carlo Padoan, affinchè vengano chiariti i rapporti tra il suo ministero e Jp Morgan, la banca d'affari che, scrive Brunetta, «ha fiutato l'enorme affanno del governo sui dossier bancari e ne approfitta».

Che il premier Renzi insista per una soluzione di mercato ben si capisce. Ottobre non è lontano e sul referendum per la riforma costituzionale si gioca buona parte del suo futuro. Un ennesimo aiuto a banche in difficoltà con i soldi pubblici, e poi in questo caso a Mps considerata storicamente «aggrovigliata» con il Pd (non solo locale), lo esporrebbe a pesanti ripercussioni in termini di voti. Ma cosa resta allora di tutta la partita giocata invece da Padoan in Europa per una soluzione pubblica compatibile con le regole comunitarie sui salvataggi bancari? Si dirà che nulla è andato perduto e che l'ombrello pubblico è sempre pronto per essere aperto qualora il piano Renzi non andasse in porto. Ma le cose non stanno realmente così. Padoan non si fida della soluzione privata che si sta profilando (sebbene fino all'altro giorno abbia professato fede incrollabile nel mercato) e da subito ha cercato di tessere una rete in Europa per percorrere una via differente da quella del premier. E nel suo cammino ha fatto proseliti importanti.

La commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager, pur avendo affermato che non vedeva rischi per la stabilità finanziaria italiana che giustificassero deroghe, aveva poi annunciato che l'accordo era vicino. Un accordo su cui si erano espressi positivamente anche la Francia, la Germania e la numero uno del Fmi Christine Lagarde. E soprattutto era sceso in campo Mario Draghi a benedire un sostegno pubblico alle banche. Il presidente della Bce ha confermato il diritto degli Stati a intervenire in circostanze eccezionali, d'intesa ovviamente con Bruxelles. Il focus delle trattative tra Roma e Bruxelles si è concentrato sul burden sharing, la condivisione dei costi tra azionisti e obbligazionisti subordinati nel caso di salvataggio delle banche. Con l'Ue disposta a sospendere il principio per gli investitori non istituzionali e Roma che vorrebbe invece una sospensione tout court per tutti gli investitori.

Una trattativa difficile ma non impossibile a cui Padoan stava lavorando alacremente e che Renzi ha di fatto snobbato. Dalla parte del Tesoro anche la sentenza della Corte di giustizia europea sul salvataggio di alcune banche slovene. Che ha stabilito che il bail in e il burden sharing sono legittimi ma che la presenza di circostanze eccezionali consente la sospensione dei meccanismi.

Sull'affaire Mps si potrebbe giocare anche il futuro del ministro Padoan. Non a caso Renzi avrebbe da tempo già pronto il nome di chi potrebbe prendere il suo posto: l'attuale ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, sponsorizzato da Confindustria.

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