Anche l'Italia rilanci il progetto dell'Europa "sdoppiata": adesso o mai più

Di questo passo, l'Unione europea rischia di diventare la struttura civile dell'Alleanza militare atlantica. E non va bene

Anche l'Italia rilanci il progetto dell'Europa "sdoppiata": adesso o mai più

Di questo passo, l'Unione europea rischia di diventare la struttura civile dell'Alleanza militare atlantica. E non va bene. Non va bene perché significherebbe rinunciare per sempre al progetto iniziale: non solo un mercato economico comune, ma, per dirla con Altiero Spinelli, «una federazione politica fondata sulle comunità nazionali».

Facciamo un passo indietro. Anzi, di lato. Ad oggi, l'Europa ha battuto un colpo solo quando ha avuto paura. Paura di morire. È accaduto con la pandemia, che ha incoraggiato gli stati e le istituzioni europee a stilare un piano da oltre 800 miliardi tra prestiti e sovvenzioni. Sta accadendo con la guerra di Putin, che incoraggia stati e istituzioni europee a favorire l'ingresso di nuovi membri come l'Ucraina.

La logica è quelle dell'alleanza delle liberaldemocrazie contro la violenza e l'autoritarismo russi. Una logica incontestabile, ma circoscritta al momento dato. Sul lungo periodo, questa strategia di contenimento dell'espansionismo post sovietico rischia di rivelarsi la pietra tombale del progetto di unità politica europea. Lo abbiamo visto nei primi anni Duemila con il progressivo allargamento ad Est: più entravano nuovi stati, più l'Europa diventava ingovernabile. Il diritto di veto ha paralizzato le istituzioni comunitarie, si sono costituite minoranze di blocco (i paesi del Nord Europa, il Gruppo di Visegrad, e ora, in prospettiva, i paesi baltici), l'unico sistema decisionale possibile si è rivelato quello intergovernativo sancito dal Trattato di Lisbona. Il che, per la piccola Italia, è quanto di peggio.

Mai come oggi, dunque, torna d'attualità l'idea di un'Europa a due velocità. O, per meglio dire, di uno «sdoppiamento» dell'Europa. In Italia, la primogenitura di quest'espressione va attribuita al professore Sergio Fabbrini, ma una simile prospettiva è dibattuta anche in Francia, in Germania e in Spagna. Ventisette o più stati parteciperebbero al mercato economico comune all'interno di confini così ampi da stabilizzare il continente e rappresentare un argine alle autocrazie, ma questo non impedirebbe ad un gruppo ristretto di paesi di darsi istituzioni condivise secondo la logica comunitaria sovranazionale.

Istituzioni in grado di assumere quelle decisioni strategiche che vecchi stati nazionali alle prese con redivivi imperi in un mondo ormai globalizzato non hanno più la forza di assumere senza risultare velleitari. O, peggio, ridicoli.

È a questo ambizioso progetto che Draghi, Macron e Scholz devono lavorare. E devono lavorarci ora. Ora o mai più.

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