Appello di Massoud alla rivolta. Il comandante talebano: "Non vogliamo la democrazia"

"Non ci interessa e non vogliamo la democrazia, ma la legge dell'Islam. I nostri padri hanno sconfitto i sovietici e noi gli americani che hanno invaso l'Afghanistan. Adesso abbiamo vinto e fermeremo il fiume di sangue instaurando l'Emirato"

Appello di Massoud alla rivolta. Il comandante talebano: "Non vogliamo la democrazia"

«Non ci interessa e non vogliamo la democrazia, ma la legge dell'Islam. I nostri padri hanno sconfitto i sovietici e noi gli americani che hanno invaso l'Afghanistan. Adesso abbiamo vinto e fermeremo il fiume di sangue instaurando l'Emirato», spiega un giovane comandante talebano, che ha un fratello residente a Milano. Un nugolo di talebani attorno a lui si fa immortalare davanti al fuoristrada con mitragliatrice razziato all'esercito. Sulla portiera è dipinto un teschio nero. I più giovani si legano attorno alla testa la striscia bianca con i versetti del Corano, vessillo del nuovo potere islamico.

Le ultime battute del bagno di sangue, però, non si fermano nella valle del Panshir, la fetta di Afghanistan che ha cercato disperatamente di resistere alla valanga talebana. L'ingresso è sprangato dagli studenti guerrieri, che rimandano indietro i giornalisti. Zabihullah Mujahid, il portavoce dell'Emirato, ha annunciato via twitter che la roccaforte della resistenza «è stata completamente conquistata».

Sembra però che si combatta ancora in un distretto. E i corpi speciali che non hanno ceduto le armi dopo il crollo dell'esercito governativo si sono appostati nelle anguste gole laterali per attaccare i talebani alle spalle e di sorpresa.

Ahmad Massoud, figlio del leggendario «leone del Panshir», comandante mai sconfitto dai sovietici e dai talebani, ha lanciato un disperato appello a resistere. «Compatrioti dovunque siate, dentro o fuori l'Afghanistan - invoca Massoud in un messaggio audio di 18 minuti - lanciate un'insurrezione nazionale per la dignità, la prosperità e la libertà del nostro paese».

I miliziani dell'Emirato stanno piegando il Panshir con l'aiuto del Pakistan. I militari pachistani avrebbero usato anche droni per colpire in profondità le difese della resistenza. Non è un caso che un giorno prima dell'avanzata quasi finale nel Panshir sia arrivato a Kabul il generale, Faiz Hameed, capo dell'Isi, l'intelligence militare di Islamabad da sempre dietro le quinte della crisi afghana.

Una fonte attendibile pachistana rivela al Giornale che i pachistani vorrebbero «l'arresto del vicepresidente afghano Amrullah Saleh per poi interrogarlo sui rapporti con l'India e i tanti dossier che ha gestito quando era a capo dell'intelligence afghana».

Saleh, che è il vero irriducibile della resistenza, sarebbe volato ieri con uno degli ultimi elicotteri in Tajikistan per cercare appoggi. Nell'ex repubblica sovietica dell'Asia centrale si è formata una brigata di volontari che voleva andare a combattere in Panshir, ma è stata fermata dal governo su intervento dei russi.

I talebani hanno catturato un migliaio di prigionieri e messo le mani sugli elicotteri e blindati della resistenza. L'Occidente è rimasto a guardare sull'orlo della tragedia del Panshir e spera nel governo «inclusivo» promesso dai talebani, che verrà annunciato a giorni.

Nel frattempo il portavoce Mujahid seduto in cattedra con due bandierine dell'Emirato ai lati ha chiarito in conferenza stampa: «Qualsiasi insurrezione sarà duramente repressa e non è il momento di manifestare a Kabul, anche se non abbiamo nulla contro le donne». Il riferimento è alla manifestazione per i diritti femminili nella capitale dispersa dai talebani.

«L'altro giorno un bambino arrivato in ospedale faceva i capricci e il padre gli dice: Guarda che chiamo i talebani. Il piccolo intimorito risponde: E poi quando vanno via?» racconta il piemontese Albero Cairo della Croce rossa internazionale, veterano dell'Afghanistan. «Dal 1990 ho vissuto il cambio di cinque regimi e adesso sono tornati per la seconda volta i talebani - ricorda - Gli afghani li conoscono bene e hanno paura. La gente teme che tornino a chiedere di farti crescere la barba e di non mandare più le figlie a scuola». I ministeri sono semi vuoti perché i dipendenti pubblici non ricevono più la paga e rimangono a casa per timore di ritorsioni. La Croce rossa, «per la prima volta in 31 anni della mia permanenza in Afghanistan ha pagato uno stipendio molto ridotto ai nostri collaboratori. Mancano i contanti».

Se la comunità internazionale abbandona il paese sarà la fine.

«Prima mi chiedevano aiuto 2-3 persone al giorno, adesso sono dieci - spiega Cairo - Con l'inverno alle porte, il Covid che non demorde e il tracollo economico, se vengono a mancare gli aiuti dall'estero l'Afghanistan crolla».

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