Arabia Saudita e il fondo Pif a caccia. Puntano banche, assicurazioni e Borse

Dopo Azimut e Newcastle, nel mirino una partecipazione in Euronext o London Stock Exchange. Disponibilità illimitate grazie al petrolio

Arabia Saudita e il fondo Pif a caccia. Puntano banche, assicurazioni e Borse
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Et voila, il faraonico progetto dell'Arabia Saudita di costruire la metropoli più grande e innovativa del globo sta prendendo corpo con l'inizio dei cantieri della megalopoli che prevede di essere grande trenta volte New York. Un segnale di quanto i sauditi puntino a diventare uno dei maggiori protagonisti del nuovo ordine mondiale che si profila all'orizzonte. Primus inter pares non può che essere l'Occidente, inteso come Usa, Europa, Giappone, Corea, quest'ultimi tutti sotto la sfera Usa, seppur facenti parte del patto Rcep a guida cinese.

I sauditi sanno bene che l'Occidente da una parte è il loro miglior cliente per l'acquisto dell'oro nero, dall'altra che per ancora molti altri decenni non potrà fare a meno di esserlo. La strategia di Riad per entrare tra i 5-6 Paesi che guideranno il globo ha come caposaldo la disponibilità finanziaria che le consentirà di acquisire un numero infinito di partecipazioni azionarie di gruppi economici strategici occidentali, mai di controllo, ma in grado di interferire sugli indirizzi e scelte future. Per farlo sta utilizzando il suo public investimenti fund che è uno dei più grandi fondi sovrani del mondo con un patrimonio totale stimato in circa 800 miliardi di dollari. Nel suo portafoglio ci sono già oggi quote di partecipazioni di minoranza nelle statunitensi Uber, Cisco, Pfizer, Disney, City Group, Bank of America , Boeing, e le europee Eni e Total. Per ora la scelta è stata indirizzata soprattutto verso imprese statunitensi, più facilmente scambiabili sui mercati finanziari, ma da qui ai prossimi due-tre anni la situazione potrebbe cambiare in maniera rilevante, mirando all'Europa. Recentemente il fondo ha acquisito il 30 per cento del numero uno europeo dell'imbarcazione da diporto, l'italiana Azimut, parimenti è entrata nel calcio inglese col Newcastle e ci sono rumor di forti interessi, in coabitazione con fondi Usa, e non belligeranza transalpina, su grandi europee di telecomunicazioni e tecnologie. Tutte le aziende che finiranno nel mirino sono quotate in Borsa e quindi soggette a regolamentazioni che le obbligano alla trasparenza su partecipazione, acquisti e scambi successivi: nessun stravolgimento, ma solo rafforzamenti patrimoniali per chi cede azioni a Pif. Un cavallo di Troia che troverebbe rapidamente spazi nel caso perdurasse la debolezza dell'economia continentale e ci fossero nuovi exploit dei prezzi di petrolio e gas, peraltro facilmente prevedibili già da questo inverno, se le temperature dovessero calare sensibilmente e ci fosse una ripresa, anche parziale, delle produzioni industriali europee.

Altro bersaglio possibile è l'ingresso in una o entrambe le società che gestiscono le Borse Europee, Euronext, di cui fa parte Piazza Affari, e la London Stock Exchange. Di pari interesse saranno le partecipazioni azionarie in banche e assicurazioni. Importante che non solo i governi, ma anche e forse soprattutto le comunità finanziarie europee valutino con grande attenzione il significato che potrebbe avere un ingresso di un fondo di quelle dimensioni, in grado di rifornire le proprie finanze misura illimitata, grazie alla liquidità fornita dalla vendita di petrolio. Siamo alla soglie di un profondo riassetto del sistema economico globale.

L'Europa, a differenza degli Usa , dispone solo di limitatissime risorse naturali, una condizione che ne diminuisce le autonomie decisionali e che la obbliga ad approvvigionarsi in gran parte nei Paesi arabi e nord africani. L'Arabia Saudita in quei territori è un soggetto guida, importante è che l'Europa che vi collabori, senza però esserne vincolata.

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