Assalto al Colle: la triste fine di Re Giorgio

Giorgio Napolitano è stato costretto a rispondere ai criminali attraverso i loro legali: 40 tra pm e avvocati al Quirinale per interrogarlo sulla presunta trattativa Stato-mafia

Assalto al Colle: la triste fine di Re Giorgio

Ha accettato che lo santificassero e adesso marcia verso il martirio. Giorgio Napolitano appartiene a un mondo giurassico ormai scomparso ma caparbiamente agisce come se quel mondo esistesse ancora. I più giovani non lo sanno, ma quell'uomo eternamente sfottuto come un (finto) rampollo di casa Savoia a causa della sua somiglianza con Umberto il «re di Maggio», è stato da un certo momento in poi un difensore convinto del sistema occidentale ed ha rappresentato nel Partito comunista italiano una corrente molto audace, perché doveva contrapporsi all'altra corrente composta dagli uomini cari al Kgb sovietico. Non a caso Henry Kissinger - suo coetaneo ed ex Segretario di Stato sotto Nixon - diceva di lui che era l'unico comunista per cui provasse amicizia. Personalmente mi spingo più in là: il Pci alla caduta dell'impero sovietico era diviso ormai fra filoamericani benvoluti dalla Cia e filorussi benvoluti dal Kgb. Non parlo di agenti o di spie, ma di quegli intellettuali che nell'apparato non visibile preparano le svolte politiche. Io me ne accorsi quando la comparsa del «Dossier Mitrokhin» nel 1999 scatenò una guerra interna al Partito comunista in cui i filoamericani trattavano i filorussi con disprezzo accusandoli di spionaggio interno e di lì cominciò la dissoluzione del partito di Togliatti, che si sta completando con la cacciata di fatto di tutti i comunisti dal partito dei Ds.

Napolitano ha partecipato dietro le quinte a questo processo, trincerato dietro i suoi discorsi ufficiali di scoraggiante prevedibilità, come devono essere in genere i discorsi di chi abita al Quirinale. Certo, qualcuno ricorderà che Napolitano faceva parte di quel gruppo dirigente stalinista (dopo Stalin) che impose a Nikita Krusciov la sciagurata repressione nel sangue degli studenti e degli operai di Budapest nel 1956, ma su questa storia e molte altre lo stesso Napolitano ha riconosciuto gli errori con onestà. Esiste una sua splendida intervista a un giornalista americano, in proposito, che non ricordo di aver letto in italiano. Ma sta di fatto che l'allora giovane dirigente del Pci (che come tutti a quell'epoca aveva un passato fascista) si mise a studiare l'inglese, lingua che parla con scolastica padronanza e che gli ha aperto più d'una porta.

Che cosa sta succedendo oggi a quest'uomo vergognosamente costretto a rispondere a due fra i più grandi criminali della storia italiana, sia pure attraverso i loro avvocati? Io credo che la risposta sia semplice: Napolitano paga oggi (da qualche anno ormai) il suo passato e le sue scelte a favore dell'Occidente e degli Stati Uniti. La memoria dell'acqua, che solo in apparenza passa e se ne va, è invece eterna. Che Napolitano possa essere accusato di aver fatto, o tutelato una trattativa fra Stato e mafiosi per evitare altre perdite di vite umane e devastazioni, è ridicolo. Come scriveva ieri il direttore di questo giornale, visto che lo Stato non ha perso nulla e che i mafiosi hanno perso tutto, andrebbe fatto un monumento a coloro che hanno messo nel sacco la mafia. Ma in molti pensano, e io fra loro, che il tentativo di incastrare il Capo dello Stato con l'umiliazione di un interrogatorio a domicilio condotto dai criminali, abbia lo scopo di completare il «character assassination», l'uccisione della figura pubblica di un uomo che da molti anni è garante di equilibri che vanno di traverso alla sinistra.

Certo, non dimentichiamo tutto ciò che è accaduto nel momento dell'espulsione di Berlusconi dall'ultimo governo votato dal popolo con una serie di trame di palazzo guidate, o eseguite proprio da Napolitano. L'uomo non è esente da pecche anche gravi. Ma oggi va difeso sia perché le accuse nei suoi confronti appaiono grottesche, macchinose e persecutorie; sia perché i suoi nemici di oggi sono molto vicini ai nemici di ieri. Certo, Napolitano non è vittima di un «complotto comunista» ma è vittima di un complotto ordito alla maniera dei comunisti, con un apparato derisorio stalinista, cioè del genere che fu poi diligentemente copiato dai nazionalsocialisti: insudiciare la vittima e poi sottoporla alla gogna di un processo di per sé umiliante. Pur di far perdere Napolitano, non si esita a far vincere Riina. Che poi sarebbe l'esatto opposto di quanto l'ipotizzata trattativa fece davvero, dal momento che Riina con tutti i suoi è chiuso nelle patrie galere e dunque era un perdente, come era giusto che fosse.

E dunque, se vincesse il partito che oggi lo vuole alla gogna, vincerebbe lo sgretolamento dell'istituzione repubblicana, come accadde quando fu la volta di Francesco Cossiga, un altro che aveva scelto la libertà e la pagò carissima.

Noi speriamo che Napolitano regga botta, che dia fondo alle sue qualità più solide: una calma invidiabile, la capacità di sgretolare i macigni riducendoli in sabbia e una forte fiducia in se stesso ma anche di chi sta al suo fianco perché sa riconoscere una montatura ideologica da un'accusa giudiziaria.

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