Tenute ai margini, contenute senza difficoltà, decisamente secondarie se non addirittura solo annunciate e strumentali all'occasione. Se si eccettuano il «No al fascismo!», grido isolato in sala prima dell'inno d'Italia, e un altro «Viva l'Italia antifascista!» urlato subito dopo la fine dell'inno, le polemiche sembrano non trovare spazio nella serata della Prima alla Scala 2023. Anche quella più pubblicizzata, ovvero la levata di scudi della comunità ucraina della vigilia - nel mirino il soprano russo Anna Netrebko che nel Don Carlo ieri sera interpretava Elisabetta di Valois e da sempre considerata dagli ucraini simpatizzante del regime di Vladimir Putin, quindi «colpevole» di non aver mai condannato l'invasione russa - ieri sera si è risolta con qualche cartello portato in piazza dalla solita, ostinata attivista.
Così non può che saltare agli occhi il flop della protesta annunciata soprattutto se paragonato alla sproporzione dei dispositivi predisposti per l'ordine pubblico. Con lo spiegamento di forze e controlli sofisticati, i varchi sorvegliati da personale della polizia e dei carabinieri muniti di metal detector e decisi a far aprire le borse a tutte le signore e le signorine dirette alla Scala per assistere all'opera che inaugura la stagione lirica.
Anche ai Cub (Confederazione unitaria di base) - il cui presidio contro la cancellazione del reddito di cittadinanza, grazie alle transenne che circondavano tutto il perimetro di piazza Scala, è stato relegato praticamente contro le mura di Palazzo Marino, «schiacciato» insieme a quello dei (pochi) ragazzi del Centro Sociale «Il Cantiere» - tocca ammettere, per bocca del segretario Mattia Scolari: «La nostra? Una tradizione. In questo giorno scendiamo in piazza per parlare dei problemi dei lavoratori del Paese. Dall'altra parte della piazza c'è la Scala, dove sfileranno i potenti e i ricchi, rinchiusi nella loro bolla del lusso, che non conoscono le vere sofferenze di chi, per vivere, deve lavorare».
Nel pomeriggio c'è anche una grande bandiera della Palestina che campeggia in piazza Scala. Ma non sono neanche un centinaio i manifestanti, peraltro molto composti, che chiedono la fine degli attacchi israeliani su Gaza («Stop al massacro»), il rispetto delle vite dei bambini e la libertà per la Palestina.
La vera rissa va in onda in realtà davanti all'ingresso della Scala, ed è quella tra cronisti e operatori con le telecamere. Quest'anno il Teatro ha ridotto ulteriormente il numero degli accrediti per il foyer, i controlli all'ingresso sono fiscali e durissimi anche per i giornalisti che cercano semplicemente di avvicinare gli spettatori della Prima per chiedere pareri sulle tematiche del Don Carlo, impressioni sulla serata o informarsi sul loro look.
La piazza si zittisce completamente solo tre volte.
Tutti si voltano, quasi impauriti, al boato che accoglie l'ingresso del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini accompagnato dalla fidanzata Francesca Verdini, quello del ministro per le Riforme istituzionali Maria Elisabetta Alberti Casellati, ma soprattutto all'arrivo del presidente del Senato Ignazio La Russa con la moglie Laura De Cicco. Cosa sarà? La protesta, infine? No, i giornalisti che si «lanciano» sul governo. Subito bloccati dalla polizia.
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