L'altra faccia di Borgo Egnazia è a Nizhny Novgorod. Lunedì e martedi, appena prima del G7 pugliese, nella città della Russia centrale a 500 chilometri da Mosca, si sono riuniti i ministri degli Esteri dei cosiddetti Brics, le economie in via di sviluppo. A fare gli onori di casa era Sergey Lavrov, braccio destro di Putin, ma c'erano anche iraniani, egiziani, brasiliani, indiani. Altri 15 Paesi, tra di loro la Turchia, erano stati invitati come osservatori. Il gruppo, scelto dal Cremlino per fare da contraltare all'asse occidentale pro-Ucraina, non era mai stato così numeroso.
Dopo il minuto di silenzio per commemorare il presidente iraniano Raisi, il protagonista del vertice è subito diventato il cinese Wang Yi che ha deplorato la «rampante politicizzazione e securitizzazione delle questioni economiche globali» legate al sempre «crescente utilizzo di sanzioni unilaterali e barriere tecnologiche». Con toni alati il ministro degli Esteri cinese ha invitato i partecipanti «a seguire la tendenza dell'evoluzione storica e a rimanere dalla parte della giustizia e dell'equità».
Le sue parole hanno anticipato di poche ore l'invito uguale e contrario che partirà dal G7. Secondo la bozza del documento finale resa pubbliche dall'agenzia Bloomberg i leader dei Paesi industrializzati chiederanno a Pechino di smettere di appoggiare la Russia nella sue guerra di aggressione. «Il continuo sostegno della Cina alla base industriale della difesa russa ha implicazioni significative e di ampia portata sulla sicurezza», dice il testo. Pechino appoggia Mosca aiutandola ad aggirare le sanzioni, fornendole tecnologia, usando le sue banche per facilitare gli scambi con Paesi terzi, dicono i Paesi industrializzati. E sul banco degli imputati finirà anche la politica economica del gigante asiatico, le cui scelte «stanno creando ricadute globali, distorsioni del mercato e dannosa sovracapacità in una serie di settori».
La parte più sostanziale del vertice di Borgo Egnazia insisterà su questa linea di faglia: da una parte l'ordine internazionale di quello che Mosca chiama ormai abitualmente Occidente Collettivo; dall'altra le autocrazie oggetto di sanzioni come Russia e Iran, che si muovono con l'amichevole benevolenza del colosso cinese. Sul tappeto del vertice pugliese c'è, a quanto è trapelato, oltre che la questione dei fondi russi congelati all'estero, anche la possibilità di inasprire il regime delle sanzioni secondarie, quelle che prendono di mira chi aiuta il Cremlino ad aggirare l'embargo. Nel mirino, manco a dirlo, ci sarebbero, sopratutto le banche cinesi che, non a caso, timorose di perdere l'accesso ai mercati occidentali, negli ultimi mesi avrebbero cercato di allentare i rapporti più evidenti con la Russia.
Anche la presenza a Borgo Egnazia di leader di Paesi Brics, come l'indiano Modi e il brasiliano Lula, si inserisce in larga parte nel solco aperto dal conflitto ucraino. L'obiettivo è quello di sconfiggere la narrazione di Mosca. Abbandonata le iniziale e improbabili motivazione di una minaccia «nazista», il Cremlino cerca da tempo consensi a livello internazionale presentandosi come l'alfiere del Sud del mondo contrapposto all'Occidente capitalista e colonizzatore.
La parola d'ordine è già passata in buona parte del mondo pacifista occidentale, spesso (più o meno consapevolmente) allineato con il Cremlino. Il pericolo è che risulti vincente anche tra i Paesi economicamente in difficoltà di quello che una volta si chiamava Terzo mondo.
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