Bimbo ucciso, pure Mosca indaga

RomaQuando il giudice dopo 18 ore di camera di consiglio ha pronunciato la cifra del risarcimento che aveva stabilito per la morte di un singolo fumatore, la vedova che aveva intentato la causa credeva parlasse di milioni (millions). Ed era già contenta. Quando l'avvocato le ha spiegato che invece si trattava di 23,6 miliardi di dollari (17 miliardi di euro), non riusciva a crederci. Una cifra astronomica che il colosso del tabacco americano RJ Reynolds (che produce tra gli altri i marchi Camel, Winston e Pall Mall e che possiede anche il 42 per cento di British American Tobacco, la società che nel 2002 ha acquisito l'Ente Tabacchi Italiani) ora dovrà versare alla moglie di Michael Johnson, morto di cancro ai polmoni nel 1996 a 36 anni.
È stato un Tribunale della Florida a stabilirlo dopo che Cynthia Robinson nel 2008 aveva citato in giudizio il secondo produttore americano di sigarette sostenendo che la multinazionale nascondeva ai consumatori i danni provocati dalla dipendenza dal fumo, in tempi in cui era ancora lontano l'obbligo delle scritte sui pacchetti per informare i fumatori sul rischio di tabagismo introdotto dall'Organizzazione Mondiale della Sanità solo nel 2003. Suo marito era un autista di bus privati e fumava da quando aveva 13 anni. Una sigaretta dopo l'altra per vent'anni, fino a tre pacchetti al giorno. Il processo ha dimostrato che la negligenza della RJ Reynolds nel non comunicare con sufficiente chiarezza i pericoli legati al fumo ha portato come estrema conseguenza il giovane Johnson ad ammalarsi di tumore. Oltre ai 23,6 miliardi di «danni punitivi» la compagnia dovrà sborsare anche altri 7,3 milioni di risarcimento danni alla donna e al figlio della coppia, più 9,6 milioni al figlio che Johnson aveva avuto da una relazione precedente. Un risarcimento record, il più alto mai fissato da uno stato della Florida in una causa intentata da un singolo, che ora rischia di mettere in ginocchio il colosso del tabacco ed avere ripercussioni su tutta l'industria del tabacco, non solo su quella americana. Il vice-presidente della Reynolds J. Jeffery Raborn ha definito le cifre fissate «smisuratamente eccessive e non ammissibili sotto il profilo della legge statale e di quella costituzionale». «Il verdetto - ha detto - va ben oltre il concetto di ragionevolezza e giustizia».
A questo risultato la signora Robinson è arrivata dopo che nel 2006 la Corte Suprema della Florida aveva annullato un'altra sentenza clamorosa, ottenuta nell'ambito di una vasta class-action contro le società produttrici di sigarette. Era il 2000 quando i colossi del tabacco vennero condannati a pagare 145 miliardi di dollari, una cifra che allora fece scalpore, mai concessa prima negli Stati Uniti. Dopo 6 anni, però, la Corte Suprema cancellò tutto perché secondo i giudici la causa era stata intentata per motivi diversi tra loro, lasciando ai querelanti la possibilità di rivolgersi di nuovo ai Tribunali individualmente. La Robinson non si arrese e fu una delle circa mille persone che continuò la battaglia legale. Per gli avvocati della donna a colpire i giurati sono state le tecniche di marketing molto aggressive dall'azienda dirette soprattutto ai giovani e alcuni filmati del 1994 in cui alcuni manager negavano che il fumo provocasse dipendenze o tantomeno il cancro mentre vecchi documenti interni dimostravano che la RJ Reynolds conoscesse bene la verità.


«Ma la multinazionale - spiega l'avvocato Willie Gary - aveva assunto il rischio calcolato di produrre sigarette e venderle senza informare i consumatori. Speriamo che questo messaggio faccia arrivare alla RJ Reynolds e alle altre multinazionali un messaggio forte e chiaro e le costringa a non mettere più a rischio la vita di gente innocente».

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