Come gli attori che tornano al centro del palco per prendersi gli applausi del pubblico, così ieri Boris Johnson si è riposizionato al centro della politica inglese, dopo mesi passati in sordina a osservare il fallimento di Truss e la salita al potere di Sunak. Solo che stavolta l'ha fatto nell'atmosfera formale e tesa dell'audizione di fronte alla commissione parlamentare che sta indagando con che gravità l'ex primo ministro abbia detto il falso al Parlamento.
Perché la questione del «se» è già stata superata dallo stesso Johnson due giorni fa quando in una memoria difensiva ha scritto che «è ora chiaro che in alcuni giorni si sono tenuti degli incontri a Downing Street dove si andò oltre il punto in cui si può ragionevolmente dire fossero lavorativamente necessari». Una frase convoluta per dire che sì, al Parlamento Johnson ha detto il falso quando a dicembre 2021 dichiarò che tutte le disposizioni anti Covid erano state seguite durante riunioni e incontri lavorativi: ma ci fu, all'epoca, malafede e intenzionalità? Johnson mentì? È questo il motivo dell'audizione interparlamentare di ieri.
Mano sulla bibbia, l'ex primo ministro ha giurato su Dio di dire la verità: «Sono qui per dirvi che non ho mentito al Parlamento. Quelle dichiarazioni sono state fatte in buona fede, sulla base di ciò che sapevo e credevo all'epoca». Meno gesticolante e istrionico del solito, un profilo più compassato e autorevole come suggerito dal suo staff e dai suoi avvocati che l'hanno affiancato durante l'udienza, Johnson ha sfidato la commissione ha trovare delle prove che supportino la tesi della menzogna: «Avete investigato per oltre dieci mesi, non avete trovato nulla che dimostri che ero stato avvertito in anticipo che gli incontri erano illegali», aggiungendo come non sia stato trovato alcun collaboratore che «abbia manifestato le sue preoccupazioni», né prima né dopo che quegli incontri avvenissero. Nessuno tranne Dominic Cummings, liquidato da Johnson come mentitore.
Quelle riunioni e le modalità con cui vennero condotte erano «essenziali da un punto di vista lavorativo», ha insistito Johnson commentando una fotografia che lo ritrae attorniato da persone mentre brinda. Necessarie «per raddrizzare la barca» durante momenti di grande pressione e difficoltà. Incalzato dai parlamentari di ambo gli schieramenti, Johnson non ha risparmiato una bordata al suo ex-pupillo e attuale primo ministro: se fosse stato ovvio che si stessero tenendo degli incontri illegali a Downing Street, allora avrebbe dovuto essere ovvio anche ad altri membri del governo, fra cui lo stesso Sunak.
Il verdetto della commissione dovrebbe giungere entro l'estate. La condotta di Johnson potrebbe essere giudicata involontaria, incauta o intenzionale, con una sanzione che può variare da una reprimenda a una sospensione che, se dovesse essere superiore ai 10 giorni, porterebbe a un voto parlamentare sulla decadenza. Qualsiasi sarà il giudizio, sarà un'altra giornata sul palco per l'ex premier, che continua a sognare il ritorno.
È sopratutto per questo che sempre ieri è stato tra i pochi, assieme a Liz Truss, a votare contro il freno di Stormont contenuto nel nuovo accordo con l'Ue sull'Irlanda del Nord: 515 a favore, 29 contrari, una ribellione più contenuta rispetto a quanto temuto, che contribuisce a rafforzare la presa di Sunak sul partito conservatore.
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