Bon ton e femme fatale. Celine porta in scena le "borghesi ribelli"

McQueen veste di metal mesh le fate cattive. Da Stella McCartney un manifesto animalista

Bon ton e femme fatale. Celine porta in scena le "borghesi ribelli"
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Sulle passerelle di Parigi si vede di tutto, di più come diceva un vecchio spot della Rai. C'è perfino la sfilata-fantasma di Celine che non è in calendario e si svolge a porte chiuse nei saloni del castello di Compiègne dove Marie Antoinette incontrò per la prima volta Luigi XVI chen all'epoca non era ancora re.

Distrutto durante la Rivoluzione Francese e ricostruito per ordine di Napoleone ai primi dell'800, il castello con i suoi saloni grondanti di stucchi dorati e lampadari in cristallo fa da sfondo al film girato da Hedi Slimane sulla magnifica collezione intitolata Un eté français. Diffuso a pochi minuti dal debutto di Alessandro Michele sulla passerella di Valentino, il film mostra una ragazza borghese con tanto di fascetta tra i capelli, gonne a pieghe, giacche tagliate da Dio e piccoli gioielli di famiglia ma con lo spirito ribelle di Jane Birkin e Françoise Hardy. Il tutto con una colonna sonora come Femme Fatale di Nico and the Velvet Underground e con una lucida visione degli immortali codici dell'eleganza francese fatta di poche cose, sempre quelle, ma d'eccelsa qualità. La seconda sfilata di Sean McGirr per McQueen è come la prima: un buon lavoro rispettoso di tutti gli stilemi creati da uno dei pochi designer per cui vale la pena di usare la parola genio. Alexander McQueen detto Lee era scozzese e figlio di un taxista mentre Sean è irlandese e suo padre ha un'officina meccanica. In entrambi i casi avere umili origini e una forte identità natale crea un interessante corto circuito con la forte tradizione sartoriale britannica. Per cui Sean parte dal mito delle Banshee, creature magiche delle leggende irlandesi e scozzesi il cui nome in gaelico significa «donna delle fate» e che annunciano con il loro grido struggente l'arrivo della morte. Tradotto in moda significa un bellissimo vestito da sera con tanto di cappuccio che riproduce i capelli in argento metal mesh. Ricorda un modello fatto da Alexander McQueen per la sfilata dedicata a Giovanna d'Arco nel 1998 così come le giacche sartoriali chiuse da un bellissimo drappeggio sul davanti sono da sempre un suo must. Di nuovo ci sono soprattutto le spalle iperboliche e una visione meno drammatica della realtà, ma questo è quel che vuole la moda oggi. Carven, storico marchio francese comprato per 4.2 milioni di euro dall'azienda cinese Icicle, presenta la seconda collezione disegnata da Louise Trotter, bravissima designer che ha alle spalle esperienze da Calvin Klein, Gap, Hilfiger e per quattro anni da Lacoste. Tutto ha quello stile nuovo e al tempo stesso alto borghese che in Francia va per la maggiore. I volumi sono ampi ma misurati, i colori sono sobri e gli accessori ridotti al minimo ma bellissimi. Per la borsa a bauletto di Carven si prevede un futuro radioso come per la Margaux di The Row che si vende benissimo nonostante costi più di 6000 euro.

Anche da Vivienne Westwood gli abiti sono più normali e meno eccentrici fermo restando quello spirito ribelle inevitabile nel brand della donna che ha inventato lo stile punk. Andrea Kronthaler vedovo ed erede di Queen Viv si è finalmente reso conto che i grandi fatturati non si fanno con le follie. La sfilata di Stella McCartney si apre con la voce di Helen Mirren che legge un manifesto animalista intitolato Save what you love ispirato dallo scrittore e birdwatcher Johhatan Franzen. La collezione fatta al 91 per cento da materiali sostenibili e senza ferire nessuna creatura vivente è dedicata alla salvaguardia degli uccelli. Elie Saab pensa invece allo stile di Meryl Streep ne La mia Africa e al verde smagliante dei cedri del suo amato Libano.

Una moda ben fatta e senza grandi slanci creativi. Si può dire lo stesso di Zimmermann, brand australiano specializzato negli abiti lunghi, fioriti, con grandi volant e i colori della frutta. Per chi si può permettere una vita in vacanza.

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