Ieri Raffaele Bonanni ha lasciato la segreteria della Cisl dopo otto anni. Divenne segretario con Romano Prodi capo del governo e Luca Cordero di Montezemolo alla testa di Confindustria, insieme impegnati (e con la Cgil) a logorare il governo Berlusconi 2001, e nel 2006 a raccogliere i frutti del loro lavorìo. Il clima era ancora segnato dalla «vecchia» linea Fiat (scelta - con una parentesi a cavallo degli anni '8o - sin dalla metà dei'70) di compromesso tra governo e sinistra per affermare una sua centralità. Così anche dopo l'arrivo di Sergio Marchionne che diverrà il Marchionne che conosciamo solo dopo qualche tempo.
Bonanni sostituì Savino Pezzotta, prudente innovatore fiaccato da Sergio Cofferati e alla fine in ritirata, trattò con un Prodi collegato a Confindustria, tallonato da un Pd al guinzaglio della Cgil a sua volta condizionata da Rifondazione. Se si consultano gli accordi del biennio 2006-2007 si leggono la resistenza bonanniana sostenuta dagli amici della Cisl, come Sergio D'Antoni, al governo, ma anche il prevalere dell'asse Prodi-Cgil-Montezemolo centrato su logiche conservatrici.
Diverso è il passo del biennio 2008-2009 quando la Cisl spesso converge con la Confindustria marcegagliana in rottura con la Fiat, e il governo Berlusconi coi suoi ministri di punta nel settore: Giulio Tremonti e Maurizio Sacconi. Al di là delle intese col governo, daranno il segno alla stagione gli accordi con la Fiat a partire da quello di Pomigliano: una rotta nuova sostenuta da un governo innovativo ma anche attento alla «partecipazione», in grado così di gestire la fase più buia della crisi senza devastazioni sociali e con certi risultati economici. Poi parte dall'inverno 2009 la lunga guerra per sgombrare Silvio Berlusconi, anche la Cisl come tutto il resto della società sbanda. Bonanni cercò di ancorarsi alle suggestioni del cardinale Angelo Bagnasco che in una serie di convegni volle porre le basi per una nuova presenza dei cattolici nella società, superando la saggia posizione ruiniana della duplice (a destra e sinistra) presenza condizionante. Qualche mese e si aprì la devastante esperienza Monti (e della confusa Elsa Fornero). Bonanni, responsabilmente, in pieno caos, evitò rotture aperte ma così man mano logorò la capacità di iniziativa. Né migliorò il clima con il governo Lettino segnato dalla decapitazione di Berlusconi e da ciò condannato a una inevitabile inconsistenza. La Cisl sperava di avere più spazio ma ciò si rivelò impossibile. Un po' il clima cambiò con le mosse pacificatrici di Matteo Renzi - vedi il patto del Nazareno - che aiutano le posizioni riformatrici. Ma anche il nuovo esecutivo era indebolito dalla scelta di Giorgio Napolitano di non farlo legittimare dal voto.
E quando la spinta di Mario Draghi e l'affannata ricerca di spazio (nel caso al fondo positiva) di Angelino Alfano trovano la disponibilità di Renzi a cambiare con maggior metodo la legislazione del lavoro, ciò viene fatto dall'«alto» invece che facendolo maturare anche dal «basso» (come avveniva quando Sacconi era ancora Sacconi). Ciò di fatto ha destabilizzato Bonanni chiuso tra decisioni poco discusse e il «furbo fiorentino» che peraltro fa sempre una mossa anche verso Maurizio Landini per isolare non solo la sperduta Susanna Camusso o il povero Giorgio Squinzi, grande vittima della disgregazione in atto, ma anche la Cisl riformista. Inevitabili i guai che da questo contesto derivano al nostro - pesa molto pure lo sforzo di razionalizzazione dell'organizzazione: Bonanni sfoltisce categorie e organizzazioni territoriali facendo quello che né Cgil né Confindustria sono stati capaci di fare per non parlare dei pasticci sulla spending review che segnano il governo Renzi - con pure volgari attacchi interni, così per difendere l'impostazione riformista data al suo sindacato non esita ad accelerare i tempi della sua sostituzione.
Che giudizio dare degli otto anni bonanniani? Certo vi fu uno sbandamento.
Ma dopo il 2011 chi non sbandò? Ma scontato ciò, credo che per giudicare Bonanni, bisogna paragonarlo a persone come Mario Mori che, colpita duramente la mafia, poi ne ha pagato le conseguenze, o agli uomini che hanno salvato l'Eni dopo il fosco ridimensionamento della prima metà degli anni '90 e proprio per questo vengono oggi colpevolizzati. Insomma mi pare si possa considerarlo uno dei polverosi eroi di questi tempi, forse non senza macchia, che hanno servito non solo le loro organizzazioni ma anche la Patria, a proprio rischio e pericolo.
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