Andrea Acquarone
Il Dna non mente, dunque Bossetti è colpevole. «Un malvagio e bugiardo seriale. Yara aveva respinto le sue avances... così la uccise», scrivono i giudici della Corte d'Assise di Bergamo: 158 pagine per spiegare perché, lo scorso 1° luglio, abbiano condannato il muratore di Mapello all'ergastolo.
Lui si è sempre professato innocente, l'arma del delitto mai trovata, così come nemmeno un movente certo. Persino l'accusa, sostenuta dalla pm Letizia Ruggeri, in 13 ore di requisitoria, era stata in grado di delineare chiaramente cosa avesse spinto il presunto «mostro» ad ammazzare con tanta crudeltà la tredicenne di Brembate. Almeno 6 coltellate, inferte con un taglierino o una piccola lama, poi un colpo in testa, forse con una pietra. Poi la vittima lasciata lì agonizzante, tra le gelide sterpaglie di un campo. La ritrovarono cadavere esattamente tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011.
Ciò che cinque anni d'indagine non sono mai riuscite a chiarire, ma semmai solo a far sospettare, ce lo spiegano ora i giudici d'Assise. «L'omicidio - si legge tra le motivazioni della sentenza appena depositate- è maturato in un contesto di avances a sfondo sessuale, verosimilmente respinte dalla ragazza, in grado di scatenare nell'imputato una reazione di violenza e sadismo di cui non aveva mai dato prova ad allora».
I giudici spiegano attraverso gli atti che l'aggravante delle sevizie e della crudeltà inflittele «disvela l'animo malvagio» dell'imputato e parlano di «crudeltà» sia «in termini soggettivi e morali di appagamento dell'istinto di arrecare dolore che di assenza di sentimenti di compassione e pietà».
Quella sera, il carpentiere sposato e padre di tre figli, avrebbe infierito sul corpo sul corpo della giovanissima ginnasta di Brembate. Una violenza che si evince anche dal modo in cui l'assassino agì in quel campo di Chignolo d'Isola, una ventina di chilometri dal luogo della scomparsa di Yara. Ovvero «non in modo incontrollato, sferrando una pluralità di fendenti, ma operando sul corpo della vittima per un apprezzabile lasso temporale, girandolo, alzando i vestiti e tracciando, mentre la ragazzina era ancora in vita, tagli lineari e in parte simmetrici, in alcuni casi superficiali, in altri casi in distretti non vitali e, dunque, idonea a causare sanguinamento e dolore ma non l'immediato decesso». Yara avrebbe potuto salvarsi, dunque, se soccorsa in tempo. E il particolare apre almeno un lecito dubbio: perché lasciarla in vita con il rischio che ne sarebbe conseguito?
Quattro anni e mezzo dopo, ad inchiodare il muratore è arrivato il Dna nucleare di colui che gli investigatori aveano battezzato «Ignoto 1», il profilo genetico che un'indagine monstre ha stabilito appartenere a Bossetti, in quanto «caratterizzato per un elevato numero di marcatori Str e verificato mediante una pluralità di analisi eseguite nel rispetto dei parametri elaborati dalla comunità scientifica internazionale».
Puntualizza la Corte: «È la presenza del profilo genetico dell'imputato a provare la sua colpevolezza: tale dato è privo di qualsiasi ambiguità e insuscettibile di lettura alternativa».Toccherà ai giudici d'Appello stabilire se sia davvero così.
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