Bossetti ora piange in cella: non è giusto, sono innocente

Sorvegliato a vista per timore che possa compiere gesti estremi. Ieri mattina alle 8 la moglie era già a trovarlo

Bossetti ora piange in cella: non è giusto, sono innocente

Il giorno dopo di Massimo Bossetti è gonfio come una notte insonne e gli occhi spenti dalle lacrime. Dalla disperazione. La prima da ergastolano. Sorvegliato a vista, per paura di gesti estremi, quelli che scriveva di essere «pronto a fare perché qua io non ci posso rimanere».

In fondo, fino a venerdì sera ci aveva sperato: tornare a casa, riabbracciare i figli e la loro mamma, dopo due anni di cella con l'accusa di essere «Ignoto 1», ovvero il vile assassino della piccola Yara. Invece no, la giuria non gli ha creduto, a dispetto di mezz'ora d'accorata e supplichevole difesa. La prova del Dna, la mancanza di un alibi, e troppi lo hanno inchiodato in «nome del popolo italiano».

Il giorno dopo di Marita Comi, sua moglie, è quello di una donna che dopo il disastro prova a raccogliere le macerie. Anche lei ha pianto, l'aurora densa di nubi l'ha attesa sveglia, pronta a partire, a combattere ancora. Alle 8 del mattino era già davanti al carcere di Gleno. Crede ancora al suo Massimo, anzi adesso «ancora di più». E prova a regalargli un po' del suo coraggio. Da oggi dovrà badare ai tre figli, ancor più sola: al marito, pena nella pena, è stata tolta pure la potestà genitoriale. Tutto ormai è nelle sue mani: avvocati da pagare, risarcimenti, la vita da proseguire. Un'enormità: 400mila euro per ciascun genitore di Yara e 150mila per ognuno dei tre fratelli della vittima. Totale, 1,25 milioni di euro, cui si aggiungono altri 18mila euro di spese legali. Senza contare gli avvocati.

Non basterà qualche intervista rilasciata a rotocalchi o talk show per ripianare i conti. Bisogna che il suo Massimo esca di galera da uomo libero. Che venga scagionato.

Novanta giorni per conoscere le motivazioni della sentenza, quindi scatterà il ricorso all'Appello. Claudio Salvagni, suo legale fin dal giorno dell'arresto, lo ripete a chiare lettere: «Era una sentenza già scritta, ma non definitiva. La prima tappa di una battaglia lunga. Bossetti era molto fiducioso nella giustizia, ora il contraccolpo è forte ma ha la scorza dura e saprà reagire. Sono amareggiato perché la convinzione della sua innocenza è forte».

In casa Gambirasio, nell'elegante villetta di via Rampinelli, la parola d'ordine resta quella della discrezione. Non hanno parlato i genitori della vittima. Di buon'ora papà Fulvio, in maglietta celeste e bermuda, si è messo a rasare il prato, poi è uscito in auto con la moglie Maura. Come fosse un sabato qualunque, un altro da vivere sempre con quel vuoto che mai potrà essere riempito.

«È andata come doveva andare, adesso sappiamo chi è il colpevole- l'unico commento rilasciato per bocca del loro avvocato- ma questa è e resta una tragedia per tutti che non ci restituisce indietro nostra figlia». L'altro ieri loro non erano neppure in aula ad attendere il verdetto, a guardare negli occhi quell'imputato che gli parlava a distanza supplicando di credergli.

Di non di essere lui l'assassino della loro bambina che sognava, facendo sognare, danzando.

«Non è giusto, non sono stato io», ha ripetuto, stavolta in lacrime mentre le guardie lo riportavano in carcere, il muratore di Mapello. Dovrà convincere un'altra giuria.

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