"Brexit: c'è l'intesa, anzi no". I giorni cruciali per Londra

Prima le indiscrezioni su un accordo, poi la smentita Trattative frenetiche per evitare l'ipotesi del "no deal"

"Brexit: c'è l'intesa, anzi no". I giorni cruciali per Londra

Trattative frenetiche, prima le indiscrezioni su un accordo fatto, poi di nuovo la smentita, dopo la convocazione d'urgenza a Bruxelles del ministro britannico per la Brexit, Dominic Raab, da parte del capo negoziatore europeo Michel Barnier, che alla fine spiega: «Restano ancora aperte questioni chiave». Si tratta con grande motivazione sull'asse Londra-Bruxelles per scongiurare il no-deal, l'ipotesi di chiudere i negoziati senza nessun accordo, nonostante sia il Regno Unito che la Ue si siano detti pronti anche a fronteggiare questo scenario.

È stata una domenica convulsa, alla vigilia del Consiglio europeo di mercoledì, dopo le voci su un accordo di massima sulla Brexit trovato tra negoziatori britannici ed europei. Un rapporto dei responsabili europei delle trattative, ottenuto dal quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung, e le rivelazioni di alcuni diplomatici al sito di informazione Politico, per qualche ora hanno fatto credere che l'intesa fosse cosa fatta. E che contenesse la previsione di un periodo di transizione, per evitare uno choc economico, e la permanenza del Regno Unito nell'unione doganale per evitare una frontiera fisica tra la Repubblica d'Irlanda e l'Irlanda del Nord. Eppure è ancora proprio su questo - il confine tra le due parti dell'isola - che Londra e Bruxelles faticano a trovare un punto di incontro. Anche perché l'eventuale intesa dovrà non solo passare al vaglio dei ministri inglesi ma dovrà avere il via libera anche del Dup, il Democratic Unionist Party nord-irlandese che con un pugno di suoi deputati tiene in piedi il governo di Theresa May.

Nulla di fatto, insomma, nemmeno dopo la riunione straordinaria degli ambasciatori dei 27 Paesi membri della Ue e la convocazione per un incontro non programmato del ministro inglese, alla vigilia del Consiglio europeo di mercoledì 17 ottobre (considerato ultima o penultima spiaggia delle trattative). Se tutto fosse filato liscio, si sarebbe arrivati al Consiglio Affari generali dei 27 martedì, poi al confronto fra i ministri inglesi e con il Dup, e se i nodi fossero stati sciolti si sarebbe approdati infine alla cena del Consiglio europeo di mercoledì. Invece ancora una fumata nera. Eppure anche annunci e smentite sembrano un indizio in più sulle intenzioni di voler chiudere o comunque di voler andare avanti nelle trattative, condizione che Bruxelles ha posto per poter convocare semmai un ultimo eventuale summit straordinario a novembre. Entrambe le parti, nonostante sventolino la minaccia, sembrano voler evitare l'ipotesi «no deal», nessuna intesa, che porterebbe il Regno Unito fuori dalla Ue senza un accordo su come gestire le relazioni future, dai commerci alla libera circolazione delle persone. L'ipotesi nessun-accordo, tuttavia, rischia di avvicinarsi mentre il tempo scorre.

I duri della Brexit, fra cui l'ex ministro inglese David Davis, hanno già promesso battaglia contro i «compromessi inaccettabili» della premier, che minacciano ancora: «Abbandoni i suoi piani o i Tory mettano in discussione la sua leadership».

Se il nodo interno alla maggioranza di governo è sempre quello fra una hard Brexit e una soft Brexit, quello delle trattative con Bruxelles è appeso alla questione Irlanda del Nord, che non vuole un trattamento separato rispetto al resto del Paese.

Il paradosso è che se Theresa May arrivasse a un'intesa con la Ue, alla fine in Parlamento potrebbe farcela con i voti di alcuni deputati laburisti, circa una quindicina, decisi a votare a favore dell'accordo anche se il loro leader Jeremy Corbyn dovesse impartire direttive diverse. Per evitare quello che considerano il vero disastro, il rischio di un'uscita senza intesa.

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