Il prelievo del Dna salivare e il suo confronto con le tracce biologiche rinvenute nel luogo del presunto stupro lo avrebbe incastrato nel giro di pochi giorni. Così uno dei carabinieri del Nucleo Radiomobile dell'Arma di Firenze accusati di violenza sessuale aggravata ai danni di due turiste americane ha deciso di giocare d'anticipo, e di presentarsi in Procura a confessare. Nega di avere stuprato la ragazza, ma ammette di avere avuto con lei un rapporto sessuale: «Era consenziente», dice: «Lei mi ha invitato a casa e poi siamo stati insieme». Una ammissione, comunque la si guardi, di una gravità inaudita. Dopo averle soccorse in condizioni pietose ai margini di una rissa, averle caricate su una gazzella e averle portate a casa, i due carabinieri hanno pensato bene di «farsele». Non la passeranno liscia, in ogni caso, tanto che sono stati già sospesi dal servizio.
Le prime avvisaglie della svolta si erano avute poche ore prima, quando l'avvocato Gabriele Zanobini, difensore di parte civile di una delle americane, aveva rilasciato una dichiarazione spiegando che il reato di violenza sessuale esiste anche se la vittima è consenziente o non si oppone ma si trova in «condizioni di inferiorità fisica o psichica al momento del fatto». E proprio questo, per quanto se ne sa finora, era lo stato delle ragazze, ubriache e forse drogate. È anche possibile che siano state loro a fare delle avances, ma questo per la legge non cambia nulla. «In questi casi il non consenso è implicito», come spiega l'avvocato Zandonai.
Certo, rispetto allo scenario iniziale, quello di uno stupro in piena regola, con le due ragazze materialmente costrette dai militari a subire il rapporto sessuale, con la minaccia sottintesa dalle divise e dalle armi, lo scenario è diverso: ma, proprio per questo, meno inverosimile. Se poi le due vittime - una volta riprese dalla sbornia e dallo choc - hanno scelto di colorire un po' la dinamica, il reato resta lo stesso.
Ora si capisce perché il ministro della difesa, Pinotti, già l'altro ieri si fosse esposta nella vicenda con una dichiarazione che era suonata troppo «colpevolista». Evidentemente i vertici dell'Arma di Firenze, i superiori gerarchici dei due carabinieri sotto accusa, avevano colto le avvisaglie delle ammissioni. Il fatto che i due militari - come si è appreso ieri - si fossero ben guardati, a fine turno, dal riportare nel foglio di rapporto di avere caricato sull'auto di servizio le giovani statunitensi era apparso come un indizio quasi univoco. Al comando generale, insomma, era chiaro fin dalle prime ore che era accaduto davvero qualcosa di terribilmente grave. Il ministro ne era stato informato e si è comportato di conseguenza.
Resta da capire se anche il secondo carabiniere si adeguerà alla linea del collega, e come si muoverà la Procura della Repubblica. La (parziale) confessione potrebbe ridurre per i militari il rischio di finire in galera, ma è improbabile che - in tempi di allarme stupri - la magistratura fiorentina voglia essere accusata di usare la mano morbida nei confronti dei due indagati solo perché appartengono all'Arma. Il mandato di cattura potrebbe arrivare a breve.
L'inchiesta dovrà andare avanti, perché comunque ricostruire la dinamica
della violenza sarà rilevante per stabilire la pena. Ma, avances delle ragazze o aggressione a sangue freddo, la condanna appare inevitabile. E il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, chiede che sia «esemplare».
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