Catturato il boss Fazzalari, numero 2 dei ricercati latitante da vent'anni

Protagonista di una delle più sanguinarie faide di mafia, preso dai carabinieri in Aspromonte

Catturato il boss Fazzalari, numero 2 dei ricercati latitante da vent'anni

Nel Gotha criminale il suo nome è scolpito a caratteri cubitali. Grondanti di sangue ed orrore. Secondo solo a quell'eterno fantasma di Matteo Messina Dnaro, il boss dei boss di Cosa nostra, latitante da ormai 23 anni.

Ernesto Fazzalari, finora aveva poco da invidiargli. Lui era il secondo nella famigerata classifica dei ricercati più ricercati. Da oltre vent'anni le polizie di mezzo mondo gli davano la caccia: associazione mafiosa, omicidio, traffico di armi e stupefacenti, rapina alcune delle accuse di cui deve rispondere. Adesso è finita ma ad annunciarlo, ancor prima dei carabinieri che lo hanno acciuffato, ci ha pensato il premier Renzi con uno dei suoi soliti, euforici tweet mattutini. Stavolta «fregando sul tempo» pure il suo zelante ministro Alfano, specialista in trionfalismi.

Chapeau davvero, invece, ai militari del Comando provinciale di Reggio Calabria che con l'appoggio del Gis e dello Squadrone Cacciatori Calabria l'altra notte gli hanno stretto le manette ai polsi.

Fazzalari, quarantaseienne sanguinario killer della cosca 'ndranghetista Avignone-Zagari-Viola di stanza a Taurianova, si nascondeva sull'Aspromonte. Quando gli investigatori hanno fatto irruzione in un casale nelle campagne di Molochio- non lontano dal suo feudo- non ha fatto in tempo a reagire. Né a tentare una fuga. «Sì, sono io», ha detto laconicamente mentre lo ammanettavano. Vicino a lui una pistola con matricola abrasa e una donna di 41 anni, chissà forse la femme fatale che lo ha involontariamente tradito. Pure lei è stata arrestata. Le accuse sono quelle di procurata inosservanza di pena, concorso in detenzione di arma comune da sparo e ricettazione.

Nulla in confronto ai reati che hanno contrappuntato la carriera malavitosa del boss calabrese protagonista dell'efferata faida di Taurianova contro gli Asciutto-Neri-Grimaldi, rivali dagli inizi degli anni '90. Una guerra lunga tre anni e indelebile dalla memoria per l'efferatezza con la quale venne combattuta. Ciò che accadde in sol giorno, quello che ancora si ricorda come «il venerdì nero di Taurianova», è raccapricciante. Era il 3 maggio 1991 e quello fu il punto di non ritorno. Quattro morti ammazzati per vendicare la morte del boss Rocco Zagari. Primo a cadere Pasquale Sorrentino, 29 anni, dilaniato con diciannove colpi di lupara; ultimo il trentaseienne Rocco La Ficara. In mezzo, il duplice omicidio dei fratelli Giovanni e Giuseppe Grimaldi, 59 e 54 anni, titolari di un supermarket. Il loro fu uno dei più brutali che delitti la ndrangheta abbia mai firmato. I due vennero raggiunti dai sicari, alle 4.30 del pomeriggio, di fronte all'ufficio postale del paese, in mezzo alla gente. Giovanni morì subito.

Giuseppe tentò di difendersi impugnando un coltello. Uno dei killer glielo strappò e lo usò per decapitarlo. La sua testa venne poi lanciata in aria mentre l'altro sparava come mirasse a un piattello. Erano uomini del boss.

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