
La personalità umana, intellettuale, religiosa e politica di Papa Francesco risulta chiara da qualunque punto di vista lo si affronti, e a un tempo sfuggente, poco riassumibile in un ritratto o in un discorso agiografico.
Quando fu eletto, quasi a sorpresa, il 13 marzo del 2013, apparendo davanti a una Piazza San Pietro stupefatta con il suo «buonasera», in Argentina non tutti fecero i salti di gioia, prima fra tutte l'allora presidentessa, la socialista Cristina de Kirchner (con cui Bergoglio fu in polemica sull'uso dei contraccettivi per la limitazione delle nascite).
Il nuovo Papa si trascinava dietro voci - poi tutte puntualmente smentite - che lo dipingevano come un peronista, con accuse pesanti di connivenze con il regime totalitario di Videla.
Ma di questo presunto peronismo - di cui si parlò anche in Italia subito dopo la sua elezione (vedi, ad esempio, l'articolo di Massimiliano Ferrara uscito su Limes nell'aprile del 2013) - nella sua opera pastorale e soprattutto nelle sue encicliche non c'è traccia. Anzi: in alcuni passi, per esempio in Fratelli tutti, l'opposizione a qualunque populismo è netta e a volte feroce, con l'accusa a tutti i leader populisti di usare le delusioni e la rabbia delle classi povere per i propri fini personali.
Se in Argentina molti lo tacciavano di conservatorismo, in Italia molti lo hanno dipinto come uomo di sinistra - per qualcuno addirittura l'unico uomo di sinistra rimasto sul suolo italiano. Ricordiamo, nell'anno della sua elezione, la sua celebre frase «chi sono io per giudicare un omosessuale in cerca di Dio?», che fece piangere di gioia tante persone che poi si sarebbero ricredute una volta compreso che Papa Bergoglio non aveva alcuna intenzione di modificare la dottrina della Chiesa al riguardo (come qualcuno saprà, per la Chiesa l'omosessualità è un legame contro natura).
Ricordo anche i numerosi incontri tra lui e Eugenio Scalfari, il fondatore di Repubblica, che gli valsero etichette ridicole. A questo proposito l'ex vaticanista di queste pagine, Andrea Tornielli, mi raccontò un episodio illuminante. Dopo uno di questi tête-à-tête lui stesso chiese al Pontefice la ragione di tutti questi incontri con il celebre mangiapreti, e la risposta fu secca: «Lo faccio perché sono un prete».
Io credo che questa parola così semplice, quantomeno in apparenza, sia la vera chiave per comprendere tutte le contraddizioni di Jorge Mario Bergoglio.
Che cos'è un prete nella sua essenza? Che sia di destra o di sinistra, ricco o povero, figlio di contadini (come Giovanni XXIII) o di nobile famiglia (come Paolo VI), un prete è essenzialmente un uomo che, come Gesù nel Getsemani, dice «non la mia, ma la Tua volontà sia fatta». Un uomo che si consegna anima e corpo al disegno di salvezza di Dio per tutti gli esseri umani. E siccome Dio non salva gli uomini in massa, ma «uno a uno», ecco che cos'è un prete: un cacciatore (pescatore, dice Gesù) di uomini, in qualunque condizione si trovino. La missione ostinata di un prete è la loro salvezza.
Questo rende più comprensibili le apparenti contraddizioni dell'uomo, tanto sensibile ai temi sociali (due delle quattro encicliche hanno questo carattere) quanto irremovibile sul piano dottrinale. A chi lo accusava di essere un comunista rispose più volte che, se lo era lui, dovevano esserlo anche i Padri della Chiesa, alla cui opera si ispirava: Sant'Agostino, San Gregorio di Nissa, San Gerolamo.
Il tema dei poveri, per i quali lui, gesuita, improntò il proprio pontificato scegliendo per sé il nome di Francesco, per lui non è mai diventato un tema politico, e quindi di sinistra (quella che non esiste più). I vescovi americani - e anche diversi di casa nostra - gli hanno augurato la morte per la sua vicinanza a temi sociali scomodi (immigrazione), altri lo hanno fatto per avere abbassato, e di molto, le mura dorate dietro le quali la Chiesa proteggeva il suo bimillenario prestigio.
Non ha vissuto come un sovrano, non ha portato la corona, agli appartamenti papali ha preferito la dimensione più modesta di Santa Marta, sapendo quanti serpenti si nascondevano nella casa di Dio.
Delle due encicliche politico-sociali, la prima, Laudato si', è dedicata alla tutela dell'ambiente, ma non segue la scia dei movimenti ambientalisti, che fanno dell'ecologia un assoluto - con alcuni tratti idolatrici. L'uomo è creatura posta al centro del Creato (Genesi) e tutto gli è dato affinché lo amministri e lo faccia crescere non a proprio capriccio, ma secondo l'armonia voluta dal Creatore.
Sul piano della dottrina, possiamo dire che Bergoglio non l'ha toccata perché non riteneva che per una vita migliore fosse necessario modificarla. I rapporti umani non devono essere determinati dalla dottrina, che ad ogni buon conto condanna il peccato, non il peccatore - di qui l'apparente contraddizione sul tema dell'omosessualità, come su tanti altri. A Bergoglio ha sempre interessato la vita nella sua piccolezza, nella sua precarietà, nel suo dolore, ha ricordato ai preti di fare omelie brevi e agli sposi di ricordarsi di dire «per favore», «grazie e scusa». Per lui se la dottrina non arriva fin lì significa che ha fallito il proprio scopo.
Di una lettura attenta e ripetuta è degna, a questo proposito, l'ultima enciclica, la più bella, Dilexit nos, che delinea l'antropologia cristiana di Bergoglio. Scritta quando la salute si faceva più precaria, spinto dalla necessità di dedicare il tempo restante alle cose più essenziali, questa enciclica urge verso il centro dell'esperienza umana e cristiana.
Cosa ci salva? Il nostro impegno, pur cristianamente ispirato? La nostra coerenza con la dottrina? La nostra dirittura morale, per quanto auspicabile? Cos'è tutto questo al cospetto della nostra fragilità?, del niente nel quale rischiamo di cadere di continuo? Non è necessario cadere (meglio non cadere), ma la consapevolezza di essere come foglie sul ramo, d'autunno, quella sì è necessaria.
Cosa sarebbe di noi se non fossimo stati amati, uno per uno?: dilexit nos, Dio ci ha scelti. Non le nostre forze ci salvano, ma il cuore di Cristo, sanguinante d'amore. Un'immagine, questa, che può suscitare orrore nelle nostre menti moderne, ma che affonda nella fede semplice, popolare e contadina, dei nostri nonni e dei nostri bisnonni.
Come quelli che la famiglia Bergoglio, piemontese astigiana, abbandonò tanti anni addietro per migrare in Argentina. Migranti anche loro, dunque, come gli infelici che vengono sputati sulle nostre spiagge e ci ricordano ciò che anche noi siamo stati.
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