Misurare la quantità e la qualità del lavoro dei magistrati sarebbe una svolta di civiltà sociale, mentre la resistenza dell'Associazione Nazionale Magistrati è indice di cultura medievale.
L'emendamento proposto dall'on. Costa è di istituire un fascicolo personale del magistrato, che riporti in termini oggettivi i fatti salienti della sua opera. Quanto hai lavorato: quanti provvedimenti e in che tempi sono usciti dal tuo computer? Come hai lavorato: quanto il sistema dei controlli ha confermato o riformato la qualità delle tue decisioni? A dirla così, è una mortificazione per ogni altro professionista che operi nel privato, dall'avvocato al chirurgo, dal manager al commesso di negozio: per chi si guadagna da vivere è normale venire misurato.
È nell'interesse dell'organizzazione, per evitare che un'offerta scadente reiterata nel tempo le alieni il favore dei clienti e dunque la stessa sopravvivenza. Concetto non pervenuto presso le toghe, che forse immaginano di aver vinto una lotteria, non un concorso. Dovrebbero abituarsi all'idea di essere dei professionisti chiamati a erogare un servizio pubblico, per garantire ai cittadini che le relazioni sociali si svolgano dentro i binari del diritto. Se i tempi sono lunghi, non c'è giustizia. Per accorciarli, oltre a innovazioni organizzative e tecnologiche, devi ridurre al minimo le probabilità che le sentenze vengano riformate, così da scoraggiare il ricorso ai gradi successivi di giudizio. Ergo, la qualità giuridica dev'essere impeccabile, il che porta alla competenza.
Però è anche nell'interesse del singolo magistrato, che verrebbe premiato per l'impegno e non scavalcato da altri meno capaci, solo perché portati da una corrente, come ormai noto a tutti. L'Anm oppone niente di meno che un blasfemo «così i magistrati penserebbero alla carriera e non alla giustizia». Come se le due cose fossero antitetiche. La carriera di un magistrato dovrebbe essere esattamente il frutto della sua giustizia: quanta ne eroga e di quale livello. Il fatto è che già oggi i magistrati pensano alla carriera, solo che per ottenerla devono sottostare alle correnti, votando il candidato giusto e sperando che un domani si ricordi di lui. In termini semplici, la carriera del magistrato è una carota, che oggi serve ad alimentare un potere. Passando alla misurazione oggettiva, la carota punterebbe ad offrire un servizio migliore alla comunità. Non stupisce allora la reazione dell'Anm, che per far presa sul «partito dei giudici» difende e propone un'immagine della professione come «missione». Eh no, credere e impegnarsi nel lavoro è costume di tanti professionisti, ma certo non li esime dal presentarsi puntuali e preparati. Dietro l'idea di un magistrato ispirato da alti ideali, si consente a tanti di essere incompetenti e improduttivi.
Un'immagine costruita sulla pelle, in senso letterale, di quella minoranza resa eroica da un sistema che non li protegge e nemmeno gli fornisce strumenti adeguati a lavorare. Quegli eroi sono il sintomo del malessere, non l'esempio da emulare: «Sventurata la terra che ha bisogno di eroi».
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