Malta è nel caos. Il caso dell'omicidio della giornalista Daphne Caruana Galizia, con la cattura prima degli esecutori e poi dei mandanti, ha fatto tremare le fondamenta delle istituzioni. Il premier laburista Joseph Muscat ha annunciato che intende dimettersi, ma il suo è solo l'ultimo atto di un governo che cade a pezzi travolto dallo scandalo. L'arresto, come mandante dell'omicidio, del «re dei casinò» Yorgen Fenech, nel mirino delle inchieste giornalistiche della Galizia per essersi aggiudicato appalti irregolari e per possedere fondi neri a Panama, ha travolto l'esecutivo. E così, il capo di gabinetto Keith Schembri, il ministro del Turismo Konrad Mizzi e quello dell'Economia Chris Cardona hanno già dovuto dimettersi dopo esser stati accusati di aver favorito Fenech e di aver depistato le indagini. Insomma, una vera e propria baraonda, che potrebbe non fermarsi qui, anche per l'ondata di proteste che ha incendiato l'isola al grido di «Stato mafia».
Dopo questi sviluppi politico giudiziari, Bruxelles ha deciso di inviare una missione urgente per verificare lo stato di diritto a Malta e l'Europarlamento discuterà del caso nell'assemblea plenaria di dicembre. Appare un po' tardivo l'intervento europeo, soprattutto perché sono passati più di due anni da quando Galizia è saltata in aria nell'auto imbottita di esplosivo. Era chiaro dal primo giorno che volevano mettere a tacere una giornalista, le cui inchieste scomode stavano «molestando» i poteri forti di Malta. Come altrettanto facile era comprendere che dietro all'attentato c'erano collusioni politiche. Non è un caso, infatti, che tre ministri (per ora) siano accusati di depistaggio. E che lo stesso premier Muscat sia sempre stato al corrente di come procedevano le indagini. Eppure l'Europa, consapevole come ha detto il capogruppo degli eurodeputati del Ppe Manfred Weber che questa vicenda può «produrre conseguenze sull'intero progetto europeo», si sveglia a «babbo morto». Non dovremmo sorprenderci più di tanto. Malta non è salita agli «orrori» della cronaca solo per il delitto della giornalista, ma a anche per tutti gli scandali che lo hanno preceduto, come il caso Panama Papers, la vicenda della vendita delle cittadinanze a stranieri senza diritto, il riciclaggio di denaro sporco. Tutto sotto gli occhi dei poteri esecutivo e giudiziario maltesi che hanno fatto finta di non vedere. Insomma, come dice la gente dell'isola, uno «Stato mafia» e non uno Stato di diritto. Ma l'Unione Europea, tanto solerte nel condannare e punire i paesi membri che violano i diritti, non ha mosso finora un dito. Con Malta, però. Perché nel caso dell'Ungheria ha usato palle di cannone. Due pesi e due misure? Sembra proprio di sì. Il governo maltese è laburista, amico della famiglia progressista europea, non un buzzurro xenofobo come Viktor Orban. Lui sì che violava i diritti e andava sanzionato per aver costruito un muro che impedisce l'ingresso agli immigrati, la sua è una «democrazia illiberale» perché sovranismo ed euroscetticismo sono marchi d'infamia. Bruxelles è addirittura riuscita a creare un meccanismo che leghi l'erogazione dei fondi europei solo ai Paesi membri che rispettano i diritti umani. E il Paese di Orban non è considerato fra questi. Malta, invece, sì.
Là si possono ammazzare giornalisti alla ricerca della verità sulla corruzione del potere, si può riciclare, montare il Pil con il «nero» e respingere gli immigrati.Non meravigliamoci, se governa la sinistra è sempre una democrazia liberale.
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