Corbyn ambiguo incassa il primo flop

L'errore del leader rosso regala alla premier la vittoria dopo molte sconfitte

Sbaglia la prima mossa cruciale commettendo un errore tattico che regala a Theresa May l'occasione di una dimostrazione di forza, all'indomani della sconfitta epocale della premier in Parlamento sul piano Brexit e dopo settimane di umiliazioni politiche per la leader di governo. E poi nicchia ancora sul referendum bis, che in queste ore 71 deputati laburisti sono tornati a chiedere, perché - sostiene lui - è «un'opzione per il futuro», «non per oggi».

Jeremy Corbyn, 69 anni, l'anti-Blair che al contrario di Tony Blair non è mai stato un genuino europeista, sembra ogni giorno più vicino a Downing Street eppure rischia di rimanere impantanato nelle sabbie mobili delle sue ragioni e delle sue incertezze. Non solo perché per molti è un anti-capitalista con ricette degli anni Settanta. Le ceneri della Brexit sono la manna del leader laburista. Ma il casus belli nazionale, l'uscita del Regno Unito dalla Ue, sembra svelare meglio di ogni altra questione tentennamenti e ipocrisie del cavaliere in rosso pronto a dare l'assalto al governo.

Primo problema: tanto quanto i Conservatori al governo, il Labour a guida Corbyn è diviso al suo interno in correnti che non consentono al leader della sinistra inglese di intraprendere una strada chiara. Un'ampia fetta della base vuole un secondo referendum ma Corbyn deve fare i conti con i seggi laburisti pro-Brexit che, in caso di elezioni anticipate, se si sentissero traditi, volterebbero le spalle al Labour mettendo il partito di fronte al serio rischio di una sconfitta.

Secondo problema: Corbyn deve fare anche i conti con se stesso e le sue ambiguità. La strategia del leader rosso è arrivare a Downing Street ed evitare un referemdum bis, che lo costringerebbe a schierarsi. Quale sarà la posizione del partito se si andasse a votare? Glielo ha chiesto un deputato dello Scottish National Party ieri in Aula. «Il Labour è un partito democratico - ha risposto Corbyn - Il partito deciderà». Un modo per non rispondere e non decidere. Se lo facesse, rischierebbe di tradire le aspettative di quella middle-class europeista che chiede a gran voce di tornare a votare sulla Brexit.

La priorità per Corbyn è arrivare al governo e prendere il timone dei negoziati. Senza avere le idee chiare su dove dirigere la nave. «Se non si potrà avere un'elezione generale - ha sempre detto il leader pacifista, che non smette di chiedere di tornare alle urne - il Labour deve sostenere tutte le opzioni sul tavolo» compreso un nuovo referendum. Ma solo dopo. E la prospettiva - Corbyn non perde occasione di ricordarlo - non è né la sua prima né la sua seconda scelta. Una posizione ambigua, come lo è la posizione ufficiale del partito su Brexit. Il Labour mette in cima alla lista «la difesa dei posti di lavoro», obiettivo lodevole quanto fumoso, che non scioglie i nodi fondamentali del negoziato.

Quanto alle relazioni future tra Regno Unito e Ue, Corbyn dice di volere un'uscita che mantenga il Regno Unito in una «nuova e permanente unione doganale». Come intende raggiungere l'obiettivo, in un Parlamento in cui gli hard Brexiteers hanno mostrato le unghie, non è dato sapere.

Nel frattempo, Corbyn tenterà di spodestare Theresa May con una tattica di

logoramento fatta di continue mozioni di sfiducia come quella di ieri. Nella speranza che il tentato assalto non finisca per logorare lui. Contro il quale, dopo molto tempo, i Conservatori si sono compattamente coalizzati. GaCe

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica