La corsa contro il tempo del 'candidato' Draghi

Puntava ad essere eletto martedì al secondo scrutinio, ma è costretto ad attendere le mosse di Berlusconi. Il timore di slittare alla sesta votazione

La corsa contro il tempo del 'candidato' Draghi

I riflettori sono tutti puntati sul vertice del centrodestra in agenda per oggi pomeriggio. Quando Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni cercheranno di trovare la quadra e formalizzare una posizione unitaria. Una mossa che potrebbe sbloccare l’impasse di questi giorni, caratterizzati da un sotterraneo braccio di ferro sul nome di Mario Draghi.

L’ex numero uno della Bce, non è un mistero, è più che disponibile ad andare al Colle. E anche lui è in attesa che il centrodestra – Berlusconi in particolare – indichi una direzione. Nella speranza, neanche tanto recondita se a Palazzo Chigi il tema è argomento di conversazioni quotidiane, che possa essere proprio il leader di Forza Italia a mettere sul tavolo il nome del premier. Perché Draghi difficilmente può essere “candidato” da Enrico Letta senza rischiare di diventare il nome di una parte. Con Salvini che a quel punto avrebbe più agio a chiedere per sé il ministero dell’Interno in un eventuale governo dopo Draghi.

In questi di giorni di lunga attesa, occhi e orecchie puntate soprattutto ad Arcore, a Roma i leader si incrociano, si sentono e si confrontano proprio sullo scenario di Draghi al Colle. Che ha come condizione una tempistica piuttosto rapida nella definizione del governo che verrà dopo l’eventuale trasloco dell’ex numero uno della Bce da Palazzo Chigi al Quirinale.

L’ambizione del premier era quella di riuscire ad entrare in scena già alla prima chiama – in programma lunedì alle ore 15 – o, al più tardi, tra la seconda e la terza. Che si terranno una martedì e l’altra mercoledì. Nel caso di un accordo di sistema, infatti, la maggioranza dei due terzi richiesta nelle prime tre votazioni (quorum 673 su 1.009 grandi elettori) non dovrebbe essere un problema. Ma consacrerebbe l’indicazione di Draghi come una scelta in continuità con il governo di unità nazionale. Scavallare alla quarta votazione (giovedì) o addirittura alla quinta (venerdì), rischia invece di complicare le cose. Poco importa che il quorum scenderebbe a 505, perché a Palazzo Chigi il timore è che a quel punto la situazione possa finire fuori controllo. Cosa altamente probabile dalla sesta votazione in poi (sabato prossimo), dove il clima sarebbe quello del “liberi tutti”.

Nella corsa contro il tempo di Draghi, infatti, il punto è risolvere il puzzle del futuro governo senza muovere molto ma rispondendo ai dubbi di alcuni dei leader. Il primo è sulla premiership, perché sono in tanti ad avanzare dubbi sul fatto che sia il Quirinale che Palazzo Chigi siano appannaggio di due tecnici. Il secondo è su Salvini, legittimamente in pressing per ottenere una poltrona ministeriale di peso.

D’altra parte, quando Draghi decise il governo ignorò le indicazioni che gli erano arrivate proprio dal segretario del Carroccio e scelse in autonomia i tre ministri leghisti.
Tutti nodi, questi, che più il tempo passa e più diventano ingombranti. Ecco perché a Palazzo Chigi guardano con apprensione al vertice del centrodestra di oggi pomeriggio.

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