Non è un romanzo di war games né un'avventurosa corsa allo spazio, ma una più prosaica questione di business. Chi offre il prodotto con il miglior rapporto qualità/prezzo prende tutto perché i governi, in ogni parte del mondo, hanno problemi di gestione del debito e, quindi, si tende a risparmiare anche sugli investimenti strategici come quelli in Aerospazio & Difesa. La vicenda di SpaceX con il governo italiano si può riassumere in questi termini. Leonardo, la holding a maggioranza pubblica della difesa, ne ha però sofferto chiudendo in calo dello 0,7% a Piazza Affari dopo aver subito una caduta superiore al 4% nel corso della seduta. Anche se la premier non fosse Giorgia Meloni, chiunque altro al suo posto ascolterebbe le proposte di Elon Musk e le valuterebbe con un unico criterio: quello della convenienza. Dopodiché, esistono questioni politiche e partnership all'interno dell'Unione europea che incideranno sulle decisioni.
IL COLOSSO DI ELON
La Space Exploration Technology Corporation (per brevità SpaceX) è una società fondata nel 2002 da Elon Musk che, all'epoca, era noto solo come fondatore dell'attuale PayPal e non come papà della Tesla oltreché come acquirente di Twitter. L'obiettivo è lo stesso che si prefiggerà due anni dopo il vulcanico Richard Branson, patron della Virgin: organizzare viaggi spaziali per ricconi. Musk, però, ha un'idea originale: produrre internamente i moduli di lancio (cioè i razzi) per abbassare i costi. Questa scelta inusuale gli porta in dote una fortuna: i contratti con il governo Usa (cioè con la Nasa) per recuperare moduli spaziali o per rifornire le stazioni spaziali internazionali. Dal 2008 a oggi ha incassato circa 20 miliardi di dollari (19,2 miliardi di euro) dalla Casa Bianca e questo gli ha consentito di sviluppare ulteriormente l'attività. Dal 2015, infatti SpaceX con i suoi razzi Falcon ha iniziato l'attività di lancio in orbita di satelliti, partita nel 2019. Anche qui l'idea è vincente: il progetto Starlink si basa su moduli più piccoli in orbita a 550 chilometri dalla Terra contro i 36mila chilometri dei grandi satelliti geostazionari. Che cosa significa? Che i segnali impiegano meno tempo a essere trasmessi e, dunque, il ritardo (in inglese lag) è praticamente nullo e il vantaggio competitivo grandissimo. Questa soluzione diventa competitiva (e, soprattutto, economica) non solo per le comunicazioni militari ma anche per le connessioni Internet via satellite. In 5 anni sono stati lanciati in orbita oltre 6.400 moduli e il numero di abbonati Internet veleggia verso i 3 milioni. Le cifre non sono ancora significative, tanto è vero che forse solo nel 2024 i costi non hanno superato i ricavi. Ma quello che più conta è che gli addetti ai lavori valutano SpaceX ben 350 miliardi di dollari (337 miliardi di euro), ossia quasi il doppio di un colosso aerospaziale come General Electric, più di 8 volte il campione europeo della Difesa Bae Systems e oltre 20 volte la nostra Leonardo. Lo sbarco in Borsa, però, è stato rinviato.
LA SFIDA DELL'UNIONE
Come al solito, Bruxelles si è svegliata un po' tardi dal suo torpore, però proprio tre settimane fa ha dato una scossa di notevole entità. La Commissione Ue ha siglato un contratto da 10,6 miliardi di euro per la realizzazione di Iris², una costellazione di satelliti per le comunicazioni sicure. È il più ambizioso progetto spaziale europeo dell'ultimo decennio. Il sistema, che sarà operativo dal 2030, prevede il lancio di 290 satelliti e vede la partecipazione di grandi aziende private del settore aerospaziale europeo attraverso il consorzio SpaceRise. L'operazione coinvolge i tre maggiori operatori satellitari europei: Eutelsat, Ses e Hispasat. Accanto a loro giganti come Airbus, Thales, Deutsche Telekom e Telespazio (di cui il 67% fa capo all'italiana Leonardo e il 33% a Thales). La mossa ha evitato che Thales, Airbus e Leonardo, irritate dai continui ritardi, si organizzassero autonomamente bypassando i governi. Restare fuori da un settore che può generare ricavi e, soprattutto, utili non era più tollerabile. L'obiettivo consiste nel creare un modello che porti a economie di scala, aumentando i margini. Molti dei big europei, infatti, sono quotati e devono rispondere alle attese degli investitori. Giusto per fare un esempio, i ricavi attesi nel 2024 di Eutelsat, Ses e Hispasat sono di poco superiori a 4 miliardi di euro, due terzi degli oltre 6 miliardi di SpaceX. Leonardo, Thales e il gigante britannico Bae Systems valgono circa 80 miliardi in Borsa, meno di un quarto della valutazione odierna di SpaceX.
L'IMPEGNO ITALIANO
Il nostro Paese vanta una storica tradizione in questi settori industriali, ormai raggruppati in Leonardo, guidata dall'amministratore delegato Roberto Cingolani. E proprio la vision di quest'ultimo ha fatto sì che nel piano industriale dello scorso marzo fosse prevista una forte focalizzazione sul settore spazio con investimenti complessivi per 10 miliardi di euro nel periodo 2024-2028. Oltre che in Iris², Leonardo è impegnata in altri progetti Ue come il sistema di navigazione satellitare Galileo e il programma Copernicus di monitoraggio della Terra. La ricerca è ben presidiata anche dal governo che - con i fondi propri e del Pnrr - ha stanziato 7,3 miliardi.
UNA QUESTIONE SEMPLICE
Una realtà emerge da questa esposizione dei fatti. La capacità produttiva statunitense, i volumi di fatturato e la tecnologia (in alcuni casi più avanzata) fanno pendere la bilancia della convenienza dall'altra sponda dell'Atlantico.
Come ha fatto notare l'alter ego italiano di Musk, Andrea Stroppa, «tutti i sistemi di comunicazione nei Paesi europei utilizzano tecnologie statunitensi» come Microsoft, iOS di Apple, Google e Oracle. Ove mai l'Italia operasse una scelta di pura convenienza economica, acquisterebbe servizi da un partner storico e alleato militare. La storia, però, non è ancora scritta. Roma e Bruxelles possono cambiarla.
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