L'autorizzazione dell'agenzia del farmaco europea Ema per il vaccino di AstraZeneca dovrebbe arrivare entro l'Epifania. Prima rispetto alle ipotesi degli ultimi giorni (si temeva uno slittamento dell'ok alla fine di gennaio) ma comunque in coda rispetto alla concorrenza di Pfizer. Eppure Oxford ha presentato la richiesta per l'autorizzazione in largo anticipo, a ottobre. Come mai il via libera non c'è ancora? Possibile che il «giallo» della mezza dose in meno in grado di rendere più efficace il vaccino richieda così tante verifiche da lasciare al palo proprio l'azienda che sembrava in pole position?
Viene il sospetto che dietro al congelamento delle pratiche AstraZeneca ci siano ragioni più politiche che prettamente scientifiche, come è facile immaginare quando in ballo ci sono così tanti soldi e quello che è stato ribattezzato dal'Oms «l'oro liquido».
Anche perché, pur non essendo scienziati, è facile intuire che se AstraZeneca avesse realmente ottenuto per prima l'autorizzazione, Pfizer - che ha realizzato un vaccino molto più costoso e infinitamente meno agevole da conservare - avrebbe faticato parecchio a piazzare anche solo un lotto di dosi. E allora cosa è accaduto nel dietro le quinte del braccio di ferro internazionale? C'è un disegno politico sulle autorizzazioni dei vaccini e sulla loro distribuzione? In fondo Pfizer è stata la chiave della campagna elettorale americana e dal suo operato dipende tuttora la credibilità del neopresidente Joe Biden, che ha promesso un milione di dosi al giorno agli americani. Punto numero due: se l'Inghilterra avesse approvato lo studio AstraZeneca a ottobre, quando ha ricevuto i documenti, avrebbe dovuto dividere le dosi con il resto dell'Europa. Ora che può agire secondo Brexit, si può tenere le dosi prodotte tutte per sé, fino all'autorizzazione alla distribuzione in Europa. Quindi non è da escludere che mettere AstraZeneca in coda a Pfizer abbia avuto i suoi vantaggi per molti.
Non certo per l'Italia, che nel progetto di Oxford/AstraZeneca ha invece creduto fin dall'inizio e ha opzionato già da mesi 16 milioni di dosi per i primi tre mesi dell'anno e altri 24 milioni per il trimestre successivo. Cosa succederà se con lo slittamento dell'autorizzazione Ema queste dosi non dovessero essere disponibili nei tempi previsti? Il commissario straordinario Domenico Arcuri nei giorni scorsi ha confermato che la Ue sta negoziando un'ulteriore fornitura del vaccino Pfizer. Per l'Italia si tradurrebbe in ulteriori 13,8 milioni di dosi e permetterebbe di «tirare avanti» nonostante i rallentamenti sui tempi di AstraZeneca. Si tratta tuttavia di un nulla rispetto ai 30 milioni di dosi extra chiesti dalla Germania. Una fornitura che va oltre le quote fissate da Bruxelles per ogni stato in base alla sua popolazione. Ma il ministro tedesco Spahn usa un binario parallelo e prende accordi direttamente con le case farmaceutiche per accelerare i tempi e non creare intoppi nel piano vaccini. Come è possibile? Il premier Giuseppe Conte sostiene che non sia consentito negoziare forniture extra accordi Ue ma i fatti lo smentiscono. «Gli acquisti nazionali del vaccino anti Covid sono previsti dall'accordo-quadro dell'Ue», fa notare il ministro tedesco.
E dietro la corsia preferenziale, ça va sans dire, c'è anche un governo che dei 750 milioni di euro investiti nelle aziende tedesche impegnate nello sviluppo del vaccino, ne ha dati la metà a BioNTech, che opera assieme a Pfizer.
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