I militari italiani a Pristina un presidio lungo 20 anni

Quando i militari italiani sono arrivati in Kosovo, la situazione sembrava disperata

I militari italiani a Pristina un presidio lungo 20 anni

Quando i militari italiani sono arrivati in Kosovo, la situazione sembrava disperata. I racconti di chi è stato qui alla fine degli Anni Novanta narrano di una regione devastata dalla violenza e bagnata dal sangue. Oggi il Kosovo è certamente cambiato. Ma quello che in questi anni non si è modificato è l'impegno delle forze armate italiane, presenti dall'inizio del conflitto.

A testimoniare la loro importanza è arrivata nelle ultime settimane la nomina del generale Angelo Michele Ristuccia alla guida del contingente della Nato. Ma quanto l'Italia sia importante per Pristina lo si comprende anche girando per le strade del Paese e nelle cittadine della parte occidentale del Kosovo, quella del Regional Command-West guidato dal colonnello Ivano Marotta.

Vedere i bambini di una scuola «assediare» i carabinieri alla ricerca di un «selfie», sentire i racconti dei militari che si vedono offrire caffè dagli anziani per strada, ascoltare le parole di apprezzamento delle autorità locali per il lavoro degli italiani e per l'impegno anche dal punto di vista civile (come confermato dalle attività della missione per sostenere i municipi nei loro bisogni essenziali) sono fotografie imprescindibili per comprendere quanto il lavoro degli italiani sia radicato nel Kosovo.

Gli uomini delle forze armate italiane si muovono, in coordinamento con le autorità del Paese e dei contingenti internazionali, tra la base «Villaggio Italia» di Pec/Peja, a pochi chilometri dal monastero di Visoki Decani, e Pristina, la capitale.

Tutti i giorni, le donne e gli uomini con il Tricolore danno il loro contributo per mantenere la sicurezza e la libertà di movimento nello Stato, supervisionano la stabilità degli accordi con la Serbia, sostengono le forze di polizia locali, monitorano (in particolare i Carabinieri) il ponte di Mitrovica, che unisce (e divide) la comunità serba da quella albanese, proteggono il monastero di Visoki Decani.

Per farlo, gli italiani mettono in campo non soltanto l'esperienza maturata in più di venti anni in Kosovo, ma anche le specificità di tutte le unità che arrivano dalla Penisola e che sono ormai ritenute fondamentali per

mantenere il delicato e fragile equilibrio che tiene in piedi il Paese balcanico. Qui l'Italia ha dimostrato di sapere mantenere i suoi impegni: non solo verso i partner internazionali, ma anche e soprattutto verso i kosovari.

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