«Il coraggio uno, se non ce l'ha, mica se lo può dare», avrebbe detto Alessandro Manzoni. E così la verità sulla peste del Terzo millennio resterà probabilmente confinata nel cassetto del Tribunale dei ministri di Brescia. Un esito non scontato ma alquanto prevedibile (ci vorrà qualche settimana) dopo che la procura di Brescia ha manifestato l'intenzione di archiviare l'indagine nei confronti dell'ex premier Giuseppe Conte e dell'ex ministro della Sanità Roberto Speranza, indagati per epidemia colposa e omicidio colposo plurimo. Le loro reali responsabilità sulla gestione della pandemia di Covid 19, nella Bergamasca e poi in Italia, erano state ricostruite nelle 2.600 pagine di dossier della Procura di Bergamo: «Dovevamo dare una risposta», avevano detto allora i magistrati. Quelle conclusioni i pm di Brescia - competenti a decidere se chiedere o meno il processo - non si sentono di condividerle fino in fondo, o quantomeno non tanto da portare alla sbarra una ventina di indagati tra governo giallorosso, Cts, ministero della Salute e Regione Lombardia. «Non commento perché nulla so», si affretta a dire via whatsapp al Giornale il procuratore capo di Bergamo Antonio Chiappani, che su quel dossier aveva impiegato (invano) i suoi migliori magistrati.
La tesi secondo cui la mancata applicazione del piano pandemico, datato 2006, avrebbe potuto salvare molte vite non poggiava evidentemente su basi così solide da superare indenni due gradi di giudizio e la Cassazione. «Era totalmente inefficace per affrontare il Covid», è la tesi della difesa a cui i pm hanno creduto. Il cosiddetto «nesso eziologico» tra la mancata chiusura della Zona rossa tra Alzano e Nembro (dopo un quantomeno discutibile balletto sui militari spediti e ricacciati indietro, su cui vige il segreto di Stato) e i potenziali 4mila morti in più - questa era la versione del virologo Andrea Crisanti, bocciata da Brescia - non era evidentemente documentata a sufficienza. «Abbiamo dimostriamo che i rischi furono sottovalutati. I cittadini conoscono la verità, decidono i giudici», aveva detto il procuratore bergamasco dopo la fine delle indagini.
Secondo alcune fonti vicine ai legali dei due esponenti del governo giallorosso, la Procura avrebbe depositato una richiesta di archiviazione motivata circa una settimana fa. Decisivo, parrebbe, il doppio interrogatorio di Conte e Speranza dello scorso 10 maggio. «Aspettiamo la decisione», dice il professor Guido Calvi - legale di Speranza - non senza nascondere una certa soddisfazione. Gongola anche Conte, che dietro le frasi di circostanza dette ai suoi («ho sempre avuto fiducia nell'operato dei magistrati e nelle verifiche che stavano compiendo, ho agito sempre in piena trasparenza secondo scienza e coscienza») c'è un sospirone di sollievo per non dover affrontare un iter giudiziario comunque pieno di insidie.
Se a perdere è la Procura di Bergamo e Crisanti, a restare con un palmo di naso sono i familiari delle vittime del Covid nella Bergamasca, che parlano di «richiesta poco rispettosa delle vittime e dei sopravvissuti». «Questa non è giustizia, viene tradita per l'ennesima volta la memoria dei nostri cari e il loro sacrificio», è l'amaro commento di Consuelo Locati, il legale che guida il pool di avvocati dei familiari, riuniti nell'associazione #Sereniesempreuniti, alle prese con una ormai complicatissima causa civile contro governo e Lombardia per il risarcimento dei familiari.
«Le responsabilità accertate che hanno causato le morti dei nostri cari sono inconfutabili, il Covid 19 non era uno tsunami: molte morti si sarebbero dovute evitare e qualcuno è responsabile». Le speranze di verità ora sono affidate alla commissione d'inchiesta. Da cui la sinistra già prende le distanze.
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