Crepe nel Terzo Polo: sul partito unico Renzi e Calenda stonano

Il leader di Azione: "Abbiamo idee diverse". Iv: "Non ci scarichi addosso i suoi problemi"

Crepe nel Terzo Polo: sul partito unico Renzi e Calenda stonano

Partito unico del Terzo Polo? «Il problema non è se, è come. Noi vogliamo andare avanti, ma un partito si fa con un processo politico, non coi tweet e i talk show». Matteo Renzi fa smentire seccamente dai suoi che sia stato lui a tirarsi indietro dal processo unitario, come racconta Carlo Calenda. E, in cauda venenum, aggiunge che il protagonismo mediatico del fondatore di Azione serve a poco: quel che manca è la politica.

All'indomani della batosta alle Regionali, il calderone del Terzo Polo ribolle tra scambi di accuse, retroscena velenosi ispirati da una parte e dall'altra e psicodrammi interni nella conta dei (pochi) eletti. «Io e Renzi abbiamo due idee diverse - spiega in mattinata Carlo Calenda - io voglio fare il partito subito e Renzi lo vuole fare dopo le Europee. Ma dopo le Europee non ci arriviamo, si deve fare prima». Per il 27 febbraio il leader di Azione ha convocato una riunione del Comitato politico per «accelerare». Benissimo, dicono i renziani, ma non bastano gli annunci: serve una linea politica chiara e una capacità di «storytelling» che la renda appetibile per gli elettori. «Non ci si può affidare alla comunicazione estemporanea, dicendo tutto e il contrario di tutto sui diversi temi del giorno per poi rinfacciare agli elettori di non averci capito», dice un dirigente di Iv.

Calenda, dal canto suo, lamenta di esser stato lasciato solo in prima linea, mentre in campagna elettorale Renzi si occupava di promuovere «i suoi candidati». Anche il silenzio ostinato dell'ex premier dopo il risultato elettorale gli è suonato come un modo per scaricare su di lui la sconfitta. Ma «se sei il leader della federazione, con il tuo nome nel simbolo, è inevitabile che tu debba anche gestire l'esito politico», obiettano in casa Iv. Dove spiegano che il problema non sta nei rapporti personali (inevitabilmente agitati, vista la personalità ingombrante di entrambi) tra i due: «I problemi Carlo li ha innanzitutto dentro Azione, e sbaglia a tentare di scaricarceli addosso, accusando noi di frenare sul partito unico o di flirtare col Pd». Già, perché Calenda ha preso assai male un tweet di Teresa Bellanova che, preso atto del «risultato negativo» auspicava una «riflessione sul tema delle alleanze, per sconfiggere la destra». E lo ha interpretato come il segnale che Renzi auspichi la vittoria di Stefano Bonaccini per riaprire il dialogo col Nazareno.

Azione, spiegano da Iv, è in subbuglio. In Lombardia, su tre eletti, due sono renziani e uno solo (Massimo Vizzardi) riconducibile al partito calendiano. Ma è stato sponsorizzato da Mariastella Gelmini. Il segretario regionale di Azione Niccolò Carretta si è dimesso: «Abbiamo scelto una strada incomprensibile per i nostri elettori». Nel Lazio, roccaforte calendiana, le cose vanno anche peggio: due eletti, una (Marietta Tidei) supportata da Renzi, l'altro (Pierluca Dionisi) è un acquisto recentissimo, figlio di un maggiorente della ex Dc che viene dall'Udc di Pierferdinando Casini, e ha sconfitto nella corsa alle preferenze il capolista di Azione Federico Petitti, portato da Calenda.

«Azione ha un problema di insediamento sul territorio, molto minore del nostro, e anche di convivenza ai vertici», dicono in casa Iv, dove raccontano di tensioni tra la presidente del partito Mara Carfagna e il capogruppo Matteo Richetti.

Di qui alle Europee la strada è lunga. «Il partito unico è la nostra destinazione, ma ora tocca a Calenda dirci come si fa», manda a dire Renzi. Della serie: hai voluto la bicicletta della leadership? Ora pedala.

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