«Cosa mi riporto a casa dall'Ironman? Le emozioni, la consapevolezza che facendo il massimo si può arrivare ovunque ma soprattutto la voglia di rendere qualcosa a chi ne ha bisogno...». Cristina Nuti, cinquantenne milanese, un paio di lauree, manager a tempo pieno per una multinazionale americana, da tredici anni ormai combatte la sua battaglia contro la sclerosi multipla. Una sfida tosta iniziata durante una gita in barca quando improvvisamente ha iniziato a sentire «formicolare» una gamba e poi stranamente ad inciampare: «Pensavo fossero le conseguenze di una caduta- spiega- poi però gli approfondimenti in ospedale hanno confermato che si trattava di tutt'altro...». Una sfida che, suo malgrado, le ha cambiato la vita ma non l'ha fermata. La scorsa settimana a Klagenfurt in Austria infatti ha terminato uno degli Ironman più famosi in circolazione, la gara più dura del triathlon dove si deve nuotare per quasi 4 chilometri, pedalare per 180 e alla fine correre i 42 chilometri della maratona. Probabilmente non è la prima donna affetta da sclerosi a farlo ma poco importa, anzi nulla. Perché in questi casi conta solo «tracciare la via», dare esempio e speranza a chi fa i conti ogni giorno con la malattia e non vede vie d'uscita.
«Ho sempre fatto sport - racconta Cristina - Ne facevo prima di della diagnosi e ne ho fatto sempre di più dopo perché è diventato parte integrante di una terapia che mi fa stare meglio così come le cure o l'attenzione all'alimentazione. Ho cominciato a correre sul tapis roulant, poi in strada e ho finito nove maratone. Poi è arrivato al nuoto perché allenarmi in acqua era un massaggio continuo che mi alleviava i dolori e la bicicletta che mi è servita ad irrobustire la muscolatura...».
Da lì a mettere tutte e tre le discipline insieme ed approdare al triathlon con la divisa del Cus Pro Patria è stato un attimo. La scintilla dell'Ironman è scattata dopo aver partecipato ad alcune gare su distanze più brevi e forse anche dopo l'incontro con Alex Zanardi che l'aveva «arruolata» nel suo team Obiettivo 3 che seleziona atleti con disabilità da portare alle paralimpiadi. «Ho iniziato a pensarci e ad allenarmi tutti i giorni cercando un equilibrio tra il lavoro e famiglia - racconta -. La sclerosi? Finché si può ci convivo ignorandola anche se il male c'è. Ma preparare un Ironman è un impegno non solo fisico ma anche mentale e questo forse mi ha aiutata un po' a distrarmi». Nuoto, bici e corsa fino al giorno della gara: «Che non è cominciata bene- racconta Cristina- perché i giudici mi hanno vietato l'uso della muta e, per me che non sono proprio fortissima in acqua, non è stata una bella notizia. Mi hanno però affiancato un assistente in canoa che mi ha seguito dalla prima all'ultima bracciata. È stata la parte più difficile...».
Bici e corsa sono filati via lisci e in poco più di quattordici ore è arrivata al traguardo: «Cosa resta? Una gioia immensa, la voglia ora di dedicare tutte le mie energie per avvicinare allo sport anche le persone che credono di non poterlo fare e un messaggio: non sempre se uno vuole una cosa riesce ad ottenerla ma comunque dia il massimo per arrivarci...»
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