Critica il partito sul "Giornale". Il Pd silura l'islamica moderata

La dirigente musulmana Maryan Ismail propone per Milano una moschea aperta a tutti e non politicizzata. Il Comune preferisce gli estremisti e i dem la emarginano

Critica il partito sul "Giornale". Il Pd silura l'islamica moderata

Il Pd non le ha neanche riconosciuto la soddisfazione di una espulsione schietta e brutale come quelle d'altri tempi. Alla fine di una serata agitata, dopo una doppia dichiarazione e una smentita (che in realtà non smentisce) il Pd prima ha cacciato, poi solo «scomunicato» Maryan Ismail. In pratica, questo è certo, l'ha lasciata sola.

Così viene silurata oggi, a Milano, una dirigente del partito di Matteo Renzi. Maryan Ismail è stata messa ai margini del suo partito per aver formulato - in un'intervista al Giornale - una serie di critiche al Comune sul caso moschee. Critiche misurate, argomentate, dettate da una storia e da un'esperienza peculiare. Maryan Ismail vive in Italia da molti anni, ha doppia cittadinanza ed è esponente della piccola comunità somala. È piuttosto nota in città, anche per l'impegno nella battaglia contro le mutilazioni genitali femminili; ha fondato e guidato il circolo «Città Mondo» ed è politicamente una sostenitrice di Stefano Boeri, antagonista alle primarie 2010 dell'attuale sindaco Giuliano Pisapia e poi assessore alla Cultura (licenziato in seguito dallo stesso Pisapia). La Ismail, purtroppo, conosce personalmente la tragedia del fondamentalismo: suo fratello, ambasciatore somalo all'Onu, sei mesi fa è stato ucciso a Mogadiscio in una strage rivendicata dalla filiale locale di Al Qaida. Maryan Ismail, nell'intervista rilasciata lunedì al Giornale , ha criticato il piano della giunta sui luoghi di culto (un bando per assegnare tre aree comunali alle associazioni religiose che hanno bisogno di edificare moschee o chiese). Ha criticato non tanto l'idea del bando, quanto la sua concreta formulazione. A suo avviso, infatti, ha premiato le sigle islamiche economicamente più forti, penalizzando le altre. Ma soprattutto ha deluso chi - come lei - auspicava una moschea «di tutti i musulmani». «Quel che lascia l'amaro in bocca - ha detto - è che la stragrande maggioranza dei musulmani, moderati, laici, via via sono stati esclusi». Ma la Ismail ha contestato anche la linea generale seguita a Milano. E la scelta degli interlocutori. Una critica condivisa per esempio dal professor Paolo Branca, grande esperto di islam e docente di lingua e letteratura araba all'Università Cattolica. Ma al suo fianco c'è anche un gruppo di donne che pochi mesi fa ha scritto al sindaco, chiedendo rilevanti garanzie: «Avevamo spinto sul fatto che la moschea fosse trasparente - ha ricordato Ismail - sulla separazione fra politica e religione, sul no a una lettura ortodossa che mortifica la ricchezza del mondo musulmano». Una posizione forte, che altri esponenti del partito hanno difeso, sottoscrivendo le parole della Ismail e criticando implicitamente l'assessore che ha gestito la partita, Pierfrancesco Majorino, ora candidato alle (incerte) primarie del Pd con l'obiettivo di succedere a Pisapia nel 2016.

Al Pd milanese, evidentemente, non hanno retto i nervi. E l'imbarazzo, ieri, è stato rimpiazzato da un piccolo giallo. Prima è uscita un'agenzia di stampa che dava conto - con tanto di virgolettati - della sostanziale cacciata dal partito di Maryan Ismail. Nella dichiarazione attribuita al segretario metropolitano Pietro Bussolati si chiedeva alla Ismail di «valutare se lasciare la segreteria», perché la sua posizione era considerata «totalmente fuori dalla linea del partito». In seguito Bussolati ha smentito la cacciata della sua dirigente.

E un altro lancio della stessa agenzia ha riportato una dichiarazione del segretario che ridimensionava la portata del «siluramento». «Lei può dire e fare quello che vuole ma non rappresenta il Pd. Valuterà lei cosa vuole fare».

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