Magari sarà un caso. Ma proprio nelle ore in cui a Palazzo Chigi iniziano a prendere consapevolezza del fatto che la corsa di Mario Draghi verso il Colle è decisamente più complicata del previsto, Giorgia Meloni decide di prendere - educatamente, ma con una certa decisione - le distanze dai suoi alleati del centrodestra. Lo fa con Silvio Berlusconi, rispetto alla partita del Quirinale. Ma pure con Matteo Salvini, che rimbalza con decisione nel braccio di ferro per la nascita di un nuovo gruppo sovranista al Parlamento europeo.
Coincidenze, ci mancherebbe. Che cadono proprio nei giorni in cui i collaboratori più vicini al premier cominciano a fare i conti con quanto sarebbe impervia per l'ex numero uno della Bce la corsa al Colle. Con il rischio - concreto non per ragioni di merito, ma perché il Parlamento ha letteralmente il terrore delle urne anticipate - che Draghi debba alla fine «accontentarsi» di ritagliarsi il ruolo di «semplice» king maker delle elezioni presidenziali. Nel senso che non potendo giocare lui in prima persona la partita per il Quirinale, quantomeno avrebbe un suo perché cercare di indirizzarla. Nel caso, ovviamente, a favore di un bis di Sergio Mattarella.
È in questo panorama che ieri Meloni ha deciso di strappare con i suoi alleati. La leader di Fdi pubblicamente non lo ammetterebbe mai, ma è noto che al Colle non vedrebbe affatto male Draghi. Uno scenario a lei gradito per due ragioni. La prima è che aprirebbe la riffa delle eventuali elezioni anticipate. La seconda è che se dalle prossime politiche il centrodestra uscisse vincente, l'ex Bce potrebbe essere l'ombrello istituzionale per un'eventuale premiership della leader di Fdi. Chi meglio di lui, infatti, potrebbe fare da scudo alle inevitabili resistenze della comunità internazionale? Un Draghi, peraltro, che tra Meloni e Salvini è decisamente - ma molto decisamente - più sintonia con la leader di Fdi.
Per questo, c'è chi immagina un filo tra le ambizioni presidenziali del premier e lo strappo della Meloni. Che ieri, con Enrico Letta alla presentazione dell'ultimo libro di Bruno Vespa, non si è limitata a parlare di costituente e manovra di bilancio. Ma è andata oltre, dicendo che non vede più sul tavolo la candidatura di Berlusconi al Quirinale. «Ho visto che ha risposto per primo all'appello del Pd per aprire un tavolo di confronto sul Colle e - spiega - visto che sicuramente il Pd non lo vota al Quirinale per me significa che Berlusconi sta facendo un passo indietro». Una sorta di pizzino al Cavaliere, perché è del tutto evidente che le due questioni non hanno un legame diretto. Il tema, invece, è che il leader di Forza Italia si starebbe muovendo troppo in autonomia rispetto agli alleati del centrodestra. «Noi siamo pronti a sostenerlo lealmente per il Colle, ma se lui usa questa disponibilità per giocare in autonomia e a nome anche nostro la partita del Quirinale, è evidente che mette in discussione l'unità del centrodestra», è il ragionamento che Meloni fa con i suoi parlamentari più fidati.
Ma ieri Meloni ha affondato anche su Salvini, che da mesi si muove in Europa per ritagliarsi una collocazione al Parlamento Ue, scardinando il gruppo dei Conservatori riformisti. Gruppo dove Fdi si è ritagliata un peso importante, tanto che Raffale Fitto ne è coopresidente. Il tentativo di Salvini di dar vita ad una nuova famiglia sovranista con dentro Marine Le Pen (Francia), Vicktor Orban (Ungheria) e Jaroslaw Kaczynski (Polonia), insomma, è evidentemente un atto ostile contro Meloni. Che dopo aver temporeggiato per settimane, proprio ieri ha deciso di fare muro. La leader di Fdi, infatti, il 3 e 4 dicembre non sarà a Varsavia, dove dovrebbe essere annunciata la nascita della nuova componente. «Confermiamo la volontà di mantenere unito e rafforzare il gruppo dei Conservatori riformisti, un nuovo gruppo europeo non è all'ordine del giorno», spiega Fitto.
Insomma, nessuna commistione con Le Pen e strada in salita per Salvini (ancora non ha confermato la sua presenza al summit di Varsavia) che da mesi cerca di tirarsi fuori dal gruppo degli impresentabili: quell'Identità e democrazia che al Parlamento europeo tiene insieme la Lega, il Rassemblement national francese e, soprattutto, l'Afd tedesco, un partito radicalmente ipernazionalista e di destra estrema.
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