
Il Dazi-Day ha una data, quella di oggi, ma non ha ancora un piano di guerra preciso. Dopo l'annuncio fatto da Donald Trump giovedì, «applicherò dazi del 25% al Canada e al Messico», la situazione rimane «fluida», secondo le indiscrezioni raccolte dal Wall Street Journal. Diverse, al momento, le incognite che i funzionari dell'Amministrazione devono ancora definire: se saranno dazi «a tappeto»; se si limiteranno ad acciaio e alluminio e altri prodotti industriali; se escluderanno il petrolio; la data dell'effettiva entrata in vigore, per consentire un ulteriore margine di negoziato. Stesse incognite riguardano i dazi aggiuntivi del 10% che Trump vuole imporre alla Cina. Colpiranno gli stessi settori industriali già soggetti a tariffe (acciaio, alluminio e semiconduttori) o colpiranno anche i cosiddetti «consumer products» come smartphone, televisori e lavatrici? Tutti elementi che potrebbero contribuire in misura variabile a un aumento dei prezzi negli Usa, e di conseguenza dell'inflazione. Proprio uno dei fattori che hanno determinato la vittoria elettorale di Trump, con la promessa di rendere il costo della vita di nuovo alla portata delle tasche dell'americano medio.
I dazi del presidente ai tre principali partner commerciali degli Stati Uniti sono motivati, secondo la versione ufficiale, dalla necessità di costringere Messico e Canada a intensificare gli sforzi per contenere l'afflusso di immigrati illegali e di Fentanyl nel territorio americano. Quelli aggiuntivi alla Cina, per spingere Pechino a fermare l'export dei componenti chimici base del Fentanyl nei laboratori messicani. Significativo che proprio la Cina, che è il motore del traffico della droga che ogni anno uccide decine di migliaia di americani, sia la meno colpita in questa fase. Difficile non pensare alla presenza in prima fila del ceo di Apple, Tim Cook, all'inaugurazione di Trump (iPhone e iPad sono prodotti in Cina), o agli enormi interessi di Elon Musk nel Paese (a Shanghai c'è un enorme stabilimento Tesla), o alla necessità di coinvolgere Pechino - Trump ne ha parlato più volte - nelle trattative con Mosca per fermare la guerra in Ucraina. Alcuni numeri per spiegare le forze in campo. Secondo i dati di mercoledì dell'US Census Bureau, gli Stati Uniti nel 2024 hanno importato oltre 3,25 trilioni di dollari di beni. Di questi, il 41% proveniva da Canada, Messico e Cina. C'è di più: l'interdipendenza dell'economia Usa con quella cinese rimane enorme, a cominciare dalla manifattura a basso costo; con quelle messicana e canadese lo è ancora di più: dall'automotive, all'agroalimentare, al petrolio. E se in alcuni casi gli effetti inflattivi possono essere contenuti nel breve termine dalle scorte accumulate dai distributori Usa negli ultimi mesi, sul fronte petrolifero le cose sono più complicate. Non è un caso che l'industria petrolifera Usa (ha donato 75 milioni di dollari alla campagna di Trump) e i sindacati di settore (decisivi per la vittoria elettorale del tycoon) stiano facendo pressioni sull'Amministrazione per escludere l'export petrolifero canadese dai dazi. Un aumento della produzione Usa non compenserebbe gli aumenti dei prezzi, perché gran parte delle raffinerie americane sono tarate per utilizzare un mix di greggio americano (più leggero) e canadese (più «denso»). Ci vorrebbe tempo per ri-tarare gli impianti.
L'Amministrazione sta anche valutando le ritorsioni che Canada e Messico potrebbero attuare contro i dazi di Trump. Nei primi quattro anni del tycoon alla Casa Bianca, quando venne rinegoziato il Nafta, il Messico reagì a un'ondata di dazi americani andando a colpire chirurgicamente le importazioni provenienti dagli Stati repubblicani. Quanto all'Europa - «ci tratta molto male», ha accusato Trump - nel suo recente intervento a Davos il presidente ha rinnovato la sua minaccia: «Se non produrrete in America pagherete dei dazi».
Per ora, lo scontro con la Ue sembra rinviato. Prosegue invece quello con i nemici interni con il dipartimento di Giustizia che ha licenziato i funzionari dell'FbI che indagarono su Trump per l'assalto di Capitol Hill il 6 gennaio 2021.
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