Dai porti chiusi all'Onu: l'Italia in cinque mosse può ribellarsi all'Europa

Dopo il flop di Tallinn ecco come rispondere: tagli ai fondi Ue e stop alla missione Triton

Dai porti chiusi all'Onu: l'Italia in cinque mosse può ribellarsi all'Europa

È tempo di dire basta. Il vertice informale di Tallin segnato da nuovi «niet» all'Italia non è solo l'ennesima beffa, ma anche la sottile linea rossa che non può e non deve venir superata. D'ora in poi ulteriori atto di debolezza del nostro governo trasformeranno l'Italia in una nuova Grecia. Un enorme campo migranti ad uso e consumo di un Europa che da una parte esibisce umanità e benevolenza mandando navi ed organizzazioni umanitarie a ripescare migranti, ma dall'altra, scarica su di noi costi e conseguenze di tanta pelosa carità. Per dire basta servono, però azioni concrete. Azioni ben diverse dalla meschina e diligente sudditanza dei governi Renzi e Gentiloni. Due governi malati di masochismo e autolesionismo arrivati all'assurdo di tacitare Marco Minniti, unico e solo ministro ad aver osato alzar la testa proponendo la chiusura dei porti alle navi straniere cariche di migranti.

L'ONU

Il primo passo, neppure tanto audace, è quello di esigere dall'Europa e da Federica Mogherini, responsabile della politica estera europea, passi concreti per ottenere quella risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu che consentirebbe alla missione navale europea «Sophia» di colpire scafisti e trafficanti di uomini direttamente nei porti libici. Di questi ultimi, dopo due anni di missione e di monitoraggi conosciamo tutto. Solo colpendo i loro capi bastone ed eliminando le loro infrastrutture sul suolo libico possiamo mettere fine al traffico di uomini. Ma se la Mogherini e quest'Europa continueranno a non muovere un dito allora meglio rompere le fila e chiedere alla nostra Marina Militare di agire autonomamente assumendoci la responsabilità di violare le acque territoriali libiche.

HOT SPOT IN AFRICA

Dall'Europa convinta di poteri tacitare con l'elemosina di 35 milioni di euro dobbiamo pretendere un impegno economico in linea con i sei miliardi regalati alla Turchia quando si è trattato di risolvere il problema, tutto tedesco, della rotta balcanica. Solo con stanziamenti adeguati potremo convincere Tunisia ed Egitto ad aprire sui propri territori hotspot e centri di raccolta dove far convergere navi cariche di migranti irregolari. Migranti irregolari che devono venir rispediti ai paesi d'origine grazie ad accordi siglati non dall'Italia, ma da Federica Mogherini e dagli altri Commissari europea.

MISSIONE TRITON

Il provvedimento forse più urgente è però la cancellazione unilaterale degli accordi siglati all'avvio della missione Triton. Ora più che mai è indispensabile tornare al principio di territorialità sancito dalla sentenza inglese Lloyd vs Guibert del 1865 in base al quale ogni nave è un'isola navigante parte effettiva dei territori dello Stato di cui batte bandiera. In base a quei principi, ben diversi da quelli patteggiati da Renzi & Co, ogni migrante salito su una nave straniera è responsabilità del paese di cui il natante batte bandiera. È così dal Pacifico all'Atlantico. È ora che torni a esserlo anche nel Mediterraneo.

CHIUSURA DEI PORTI

Ma se tutte queste pretese ci verranno negate allora la minaccia di chiudere i nostri porti non dovrà neppure essere formulata. Andrà semplicemente attuata indipendentemente da quali potranno essere reazioni e sanzioni. E se chiudere non basterà bisognerà colpire l'Europa la dove più prova dolore. Nel 2014 l'Italia ha versato all'Unione 14mila 368 milioni di euro ricevendone indietro solo 10mila 695.

TAGLI AI CONTRIBUTI UE

Nel 2015 ne abbiamo dati 14mila 231 di cui solo 12mila338 rimborsati. Anche qui è ora di fare i conti. Dal prossimo anno vanno detratti dai versamenti a Bruxelles i circa 4,2 miliardi spesi quest'anno per la gestione dei rifugiati.

E a quelli vanno aggiunti gli stanziamenti che non ci sono tornati indietro nel 2014, 2015 e 2016, i tre anni in cui la crisi dei migranti ha raggiunto l'apice grazie all'indifferenza europea. A quel punto capiremo se l'Europa preferisce andare avanti senza il suo terzo contribuente o se invece preferisce concordare nuove regole. Anche perché peggio di così non ci può andare.

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