Dice al Giornale una fonte che queste cose le conosce da vicino: «Quella di Davigo a ben guardare è una nemesi. Con le sue dichiarazioni, lui si candida a diventare il nuovo Palamara. Quel Palamara che proprio lui ha fatto cacciare dalla magistratura». Può sembrare un paradosso, ma forse non lo è del tutto. Perchè nelle ultime ore accadono due fatti, strettamente legati tra loro. Parte ufficialmente l'operazione finalizzata a cacciare dalla Procura di Milano Paolo Storari, il pm che - in un cocktail esplosivo di coraggio, indignazione e incoscienza - consegnò a Davigo i verbali dell'avvocato Pietro Amara sulla misteriosa loggia Ungheria. E in contemporanea Davigo rilascia una torrenziale intervista al Corriere della sera in cui oltre a difendere Storari («meriterebbe un encomio») difende soprattutto se stesso. Lo fa un po' dicendo, un po' tacendo e soprattutto mandando una serie di segnali trasversali, come per evocare i nomi di chi, se le cose buttassero male, potrebbe tirare in ballo. E in questo valzer di citazioni non risparmia nemmeno il capo dello Stato, Sergio Mattarella.
Davvero, da questo punto di vista, sembra rivedere il Palamara di uno o due anni fa: quando, investito dalle inchieste giudiziarie, cercava in qualche modo di stare a galla a colpi di segnali, facendo capire di avere fatto parte di un sistema dove le colpe erano trasversalmente distribuite. Davigo (che con Palamara condivide almeno tre pezzi di Dna: entrambi ex pm, ex membri del Csm, ex presidenti dell'Associazione nazionale magistrati) sa anche lui di essere a rischio. Non può più essere cacciato dalla magistratura, perchè - suo malgrado - è in pensione. Ma sa che il capo di incolpazione disciplinare fatto partire contro Storari dalla Procura generale della Cassazione lo chiama in causa direttamente. E questo peserà non poco sull'indagine che a Brescia lo vede indagato per rivelazione di segreti d'ufficio: per avere prima «istigato» Storari a consegnargli i verbali di Amara, e poi per averli diffusi a mezza Roma.
Nell'intervista, Davigo fa una serie di nomi di personaggi cui afferma di avere riferito il contenuto dei verbali di Amara o addirittura di averne consegnato copia: sempre informalmente, sempre brevi manu. Poichè per la Procura di Brescia Davigo ricevette illegalmente le carte da Storari, i nomi che fa Davigo sono una serie di chiamate in correità, trattandosi - dal primo all'ultimo - di pubblici ufficiali che avrebbero avuto l'obbligo di denunciarlo. Il primo della lista è Giovanni Salvi, procuratore generale della Cassazione, il medesimo che l'altro giorno ha fatto partire il procedimento disciplinare contro Storari: il quale, secondo Davigo, non solo non si scandalizzò nel sapere che Davigo conosceva i verbali, ma anzi mostrò di conoscere già, non si sa bene come, il contenuto delle dichiarazioni di Amara. Poi Davigo tira in ballo Giuseppe Cascini, membro del Csm (è il passaggio più surreale dell'intervista: gli avrebbe rivelato i verbali per avere da lui «una valutazione sulla attendibilità di Amara», aldifuori di qualunque procedura), e altri tre membri del Csm, il laico Stefano Cavanna e i togati Giuseppe Marra e Ilaria Pepe. Ma il nome più delicato è quello di un altro del Csm, il grillino Giuseppe Gigliotti. Il problema è che Gigliotti era il presidente della sezione disciplinare del Csm che decise la cacciata di Luca Palamara dalla magistratura. Ora si scopre che sia Davigo (membro anche lui della disciplinare) che Gigliotti avevano in mano, al momento del voto, verbali che gettavano una luce nuova su tutto il caso: perchè Amara indicava in Luigi de Ficchy, il capo della Procura di Perugia che indagava su Palamara, uno dei membri della loggia Ungheria. Ma fecero finta di niente, e cacciarono Palamara: che ora annuncia esposti a raffica per riaprire il caso.
Poi c'è il passaggio che porta verso il Quirinale. Davigo dice di avere raccontato e poi consegnato i verbali a David Ermini, vicepresidente del Csm, l'uomo che di fatto rappresenta nel consiglio il presidente Mattarella. Chiede il giornalista del Corriere: Ermini le disse che ne avrebbe parlato con Mattarella? Risponde Davigo: «Preferisco qui non coinvolgere altre persone, ho riferito ai pm di Roma e di Brescia».
É un silenzio pesante, perché è chiaro che se Ermini non avesse detto a Davigo nulla su un eventuale rapporto a Mattarella, alla domanda del cronista bastava rispondere «Ermini non mi disse niente». Invece così il sasso è lanciato nell'acqua. Proprio come faceva Palamara.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.