Il diario segreto di Asia Argento: "Weinstein mostro, mi violenta"

Il fax dell'attrice mandato nel '97 alla cronista del Giornale. "Stasera a Roma c'è la festa della Miramax, lui è il mio boss"

Il diario segreto di Asia Argento: "Weinstein mostro, mi violenta"

Da giorni leggo le miserabili cronache di quel che ha fatto Harvey Weinstein a decine di giovani donne e provo un misto di rabbia e di orgoglio. La rabbia è il minimo sindacale per una cosa del genere.

L'orgoglio è per Asia, la meravigliosa e folle ragazza che di cognome fa Argento e che finalmente ha trovato il coraggio di parlare. A me l'ha raccontato 20 anni fa, quando siamo diventate amiche dopo una lunga e bellissima intervista che le ho fatto per un mensile femminile oggi chiuso. Ho perfino un fax che mi ha scritto poco prima che andasse a Cannes dove è avvenuta la violenza e mi sento ancora in colpa per non aver capito subito cosa stava rischiando. In fondo lei era una ragazzina e io una donna fatta. Avevo una specie di transfer materno nei suoi confronti, fin dal primo momento ho sentito il bisogno di proteggerla.

Durante l'intervista mi aveva raccontato una storia che le avrebbe procurato un sacco di grane anche se si trattava di una ragazzata. Le promisi di non scriverla e lei da quel momento decise di fidarsi di me. Abbiamo avuto per parecchio tempo un fitto scambio di corrispondenza via fax perché all'epoca non esisteva la posta elettronica. Ho tenuto via tutti quei fax perché Asia scrive benissimo e io ho un debole per le frasi belle, divertenti, sorprendenti. In uno dei primi per consolarmi di un fidanzato fedifrago ha scritto: «Quasi tutti gli uomini sono dei fagioli in umido: con una cucchiaiata si può fare una strage». Mi aveva fatta ridere fino alle lacrime anche se poche righe prima aveva scritto: «Stasera c'era un festone per il capo della Miramax, mr Weinstein, che è a Roma, ma io non ci sono andata. Certo, è il mio boss, e allora? È un cicciabomba butterato. Ha una lingua lunga tre metri e me la vuole sempre infilare al caldo».

Seguiva una frase irripetibile su dove mr Weinstein doveva sbattere quella sua schifosa linguaccia e di lui per un po' di tempo non ho più sentito parlare. Poi Asia era andata a Cannes e io in giro per il mondo per le sfilate: parlavamo un po' al telefono, ci mandavamo un sacco di sms, ma per un paio di mesi non ci eravamo più scritte dei fax così folli e personali. Asia era depressa, di questo sono strasicura, ricordo di essermi preoccupata parecchio per lei perché non era più la simpatica guascona che mi sarebbe piaciuto avere come figlia pur sapendo benissimo che mi avrebbe dato un sacco di gatte da pelare. In settembre aveva compiuto 22 anni e poco dopo mi aveva mandato un fax con un'enorme margherita stilizzata: «Daniela, solo due parole di felicità. Mi ha appena chiamato a casa Abel Ferrara, vuole che domani stesso vado a NY per incontrare lui Willem Dafoe e Christopher Walker. Sono così felice che non credo che riuscirò a dormire... il mio regista preferito. Volevo solo dividere con te questo momento!».

Ero felice anch'io per lei e avevo continuato a esserlo finché una notte mi aveva telefonato in lacrime raccontandomi per filo e per segno quel che le aveva fatto a Cannes mr Weinstein. Ero annichilita dall'orrore. Non ebbi neanche bisogno di chiederle perché non avesse denunciato subito lo stupro: me lo disse lei. Ricordo le sue parole esatte: «Quel ciccione schifoso è così potente che la passerebbe liscia. A Monica Levinsky credono solo perché ha tenuto via il vestito. Perderei la stima di Abel. Non ci posso nemmeno pensare». Tentai di consolarla e alla fine le detti ragione: cerca di dimenticare, sei giovane, hai una vita davanti a te.

Quando incontrai mr Weinstein a una sfilata della sua ex moglie Giorgina Chapman, stilista (D'Agostino direbbe «per mancanza di prove») del brand Marchesa, mi rifiutai di stringergli la mano. Lui non se ne accorse nemmeno, perché gli americani lo fanno spesso. Hanno paura dei microbi, loro.

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