Washington. C'è il rischio di un «Armageddon nucleare». Stavolta, a evocare lo scenario da fine del mondo non è Vladimir Putin, ma Joe Biden. Ovviamente, in risposta alle minacce rilanciate più volte dal presidente russo e dai suoi fedelissimi, da Dmitry Medvedev, a Ramzan Kadyrov. Le parole del presidente Usa, pronunciate giovedì, quando in Europa era notte fonda, sono l'ultimo segnale di una pericolosa accelerazione, che va di pari passo con l'avanzata delle forze ucraine sul campo di battaglia e le conseguenti difficoltà russe, sia militari che sul fronte interno.
«Non ci trovavamo di fronte alla minaccia di un Armageddon nucleare dai tempi di Kennedy e della crisi dei missili a Cuba», ha detto Biden, parlando a braccio a New York a un evento di raccolta fondi del Partito democratico. Cosa abbia spinto il presidente degli Stati Uniti a spaventare una platea di ricchi donatori e rockstar (c'era anche Bon Jovi) e con essi il resto del mondo, è ora oggetto di analisi da parte degli esperti e delle cancellerie internazionali. Biden è un politico navigato, si è finora mosso con cautela nella crisi ucraina, rispetto ai «falchi» che pure sono presenti nella sua Amministrazione progressista, non ha fornito a Kiev sistemi missilistici in grado di colpire il territorio russo, non ha ceduto alla retorica bellicista del Cremlino. Nel suo intervento di due settimane fa all'Assemblea generale dell'Onu, Biden ha ripetuto che «una guerra nucleare non può essere vinta e non deve essere combattuta». Non ultimo, il presidente Usa ha lasciato aperta la possibilità di un incontro con Putin in occasione del prossimo G20 in Indonesia. «Staremo a vedere», ha detto. Qualcosa, evidentemente, è cambiato.
All'indomani dell'allarme lanciato dal presidente, funzionari della Casa Bianca, compresa la portavoce Karine Jean-Pierre, si sono affrettati a gettare acqua sul fuoco. «Non ci sono nuovi segnali di intelligence, non modifichiamo la nostra postura nucleare», hanno detto. Per poi aggiungere, anonimamente, «i rischi però sono alti». Contemporaneamente, il Washington Post ha rivelato che l'intelligence Usa ha intercettato segnali di cedimento all'interno del regime russo. Un membro della cerchia ristretta di Putin avrebbe trovato il coraggio per esprimere direttamente al presidente russo il disappunto per la sua gestione della guerra. L'informazione è stata ritenuta di tale importanza da essere inserita nel briefing di intelligence che ogni mattina viene consegnato a Biden. Ecco allora che si fa concreta l'ipotesi che il presidente Usa si stia convincendo del crescente isolamento interno del leader russo, forse di un collasso imminente della sua leadership, e del rischio di reazioni incontrollabili. Una conferma indiretta di questo rischio è giunta anche dal ministro degli Esteri russo Lavrov, che ha però attribuito la responsabilità agli ucraini, che a suo giudizio «mirano a creare rischi di utilizzo di vari tipi di armi di distruzione di massa».
In questo contesto, va riletta anche la recente rivelazione dell'intelligence Usa, attraverso un leak consegnato al New York Times, sul malcontento di Washington nei confronti di Kiev per l'attentato a Mosca, nel quale è rimasta uccisa Darya Dugina, la figlia del leader ultranazionalista russo Alexander Dugin. Un'operazione non concordata e ritenuta controproducente. Soprattutto, la soffiata al Times è apparsa un segnale alla leadership ucraina affinché non si spinga «troppo oltre» nel confronto con Mosca. Altro elemento di analisi in queste ore è l'uso del termine «Armageddon» da parte di Biden. Finora, di fronte alla prospettiva di un ricorso ad armi nucleari da parte di Mosca, gli Usa hanno parlato di «conseguenze catastrofiche» per i russi, senza mai entrare nei dettagli. Gli esperti militari hanno ipotizzato soprattutto una risposta convenzionale.
L'«Armageddon» evoca invece uno scenario di rapida escalation, col ricorso anche da parte Usa all'arma atomica. Del resto, non farvi ricorso di fronte a un lancio russo, rischierebbe di depotenziare per sempre il deterrente nucleare americano, anche di fronte alle minacce cinesi nello Stretto di Taiwan.
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