Draghi si brucia da solo "Non farò il politico". La sinistra tifa Padoan

Il presidente della Bce si sfila dalla corsa per il Colle e delude Berlino che vuole un suo uomo a Francoforte Letta e D'Alema spingono il ministro dell'Economia

Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi
Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi

Roma Hic manenibus optime . Chissà se Mario Draghi avrà pensato in latino (come gli avevano insegnato i gesuiti al liceo) quando il quotidiano tedesco Handelsblatt gli ha chiesto se era in corsa per il Quirinale. La sua risposta (in inglese) è stata netta. Senza lasciare scampo ad interpretazioni. «Non voglio entrare in politica - ha detto - Il mio mandato alla presidenza della Bce dura fino al 2019».

E così, Draghi ottiene un duplice risultato. Manda un messaggio a quanti, in Germania, auspicavano il contrario. E si chiama fuori dal totonomine per il Quirinale.

Negli ultimi giorni, dopo le annunciate dimissioni di Giorgio Napolitano, la stampa tedesca si era dedicata con grande attenzione all'argomento. In modo particolare - era il ragionamento - se Draghi fosse andato sul Colle, avrebbe liberato la poltrona di presidente della Banca centrale europea. Sulla quale avrebbe messo gli occhi Jens Weidmann, presidente della Bundesbank: un «falco» di politica monetaria che non sempre è andato d'accordo con la politica espansiva avviata da Draghi.

Il «Mario» nazionale, però, conosce bene il circuito dell'informazione tedesca. E sa bene che se parte una campagna di un certo tipo - di solito - la Cancelleria non ne è all'oscuro. Così, anche per far capire ad Angela Merkel che non intende traslocare da Francoforte, ha ricordato senza mezzi termini (ad un quotidiano tedesco) che il suo «mandato dura fino al 2019».

Stesso discorso, vale per l'Italia. Draghi ha antenne sensibili nella politica romana. Ed ha intercettato che il suo nome circolava con insistenza nelle segrete stanze: e non da ieri. Con un particolare. Che chi lo faceva, per lo più, voleva «bruciarlo». Non è un mistero, infatti, che sia nel Pd che in Forza Italia ci siano perplessità sul suo nome, per non parlare dei grillini che mai accetterebbero un banchiere alla presidenza della Repubblica.

Così, le antenne romane di Draghi hanno fatto circolare il nome di Fabrizio Saccomanni, quale potenziale candidato per il Quirinale. Ed a sostenere quest'ipotesi (ancora sottotraccia) starebbe contribuendo - senza troppe convinzioni - anche Enrico Letta, del cui governo è stato ministro dell'Economia.

Il suo attivismo, infatti, è tutto orientato a spingere Pier Carlo Padoan sul Quirinale: l'uomo che avrebbe voluto come ministro dell'Economia; al posto di Saccomanni, che gli venne invece imposto da Napolitano (dicono su indicazione di Draghi). Il problema per Padoan è che anche Renzi ha antenne finissime. Così, il presidente del Consiglio ha intercettato l'attivismo del suo predecessore Letta jr. a favore del titolare di via XX Settembre. Per non parlare del fatto che l'attuale ministro dell'Economia avrebbe anche i favori di Massimo D'Alema. E non avrebbe gradito.

D'altra parte, a Roma anche i sanpietrini sanno che Renzi ha rapporti complicati sia con Letta sia con D'Alema. Ed è per confondere le acque che l'altro giorno il presidente del Consiglio ha fatto filtrare di essere pronto ad accettare anche un tecnico al Quirinale: per non essere lui il killer di Padoan nella corsa al Colle.

In questa situazione, il nome di Draghi avrebbe ulteriormente diviso il Parlamento ed il rischio della «carica dei 101» che bocciarono Prodi si sarebbe moltiplicato all'infinito. Così, il presidente della Bce ha annunciato (in Germania ed in Italia) che resterà a Francoforte fino alla fine del mandato; fino al 2019.

Hic manenibus optime .

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