La prima cosa da dire è «rimettetevi tutti e rimettetevi presto», ma la seconda da chiedere è: «Davvero i parlamentari hanno rispettato le norme severissime anti-contagio?». Auguri dunque a Pierpaolo Sileri, viceministro della Salute, ultimo onorevole positivo al virus e che da ieri finisce in quarantena, separato dalla moglie, ma con la quale, ha dichiarato, «è tornato a telefonarsi come all'inizio della nostra storia. Ci facciamo forza insieme». Va bene la forza, le serenate sui balconi, e vanno bene anche le misure eccezionali, ma la verità è che mai si era visto qualcosa di tanto infido e che la gara a chi vìola per primo i divieti si perderebbe. Lo stesso Sileri che, a febbraio, è volato a Wuhan per riportare in patria il giovane italiano rimasto bloccato, si è contagiato in Italia e per di più a palazzo dove ormai si moltiplicano i deputati e i senatori infetti (negativo è il ministro Roberto Speranza che ha fatto il tampone). Non per farne una colpa, ma se si dovessero, come qualcuno chiede, tracciare tutti i contatti avuti in questi giorni da Sileri, che domenica scorsa dopo un colpo di tosse improvviso - parlando con un cronista - aveva detto «nessun pericolo, sono allergico alla polvere», il numero delle persone da isolare non si conterebbe. Il 7 marzo era in studio a Non è l'Arena di Massimo Giletti. Il giorno seguente a Sky Tg24. Ventiquattro ore dopo a Tg2 Post e giustamente chiedeva di fidarci di istituzioni e medici. Il 10 marzo a Repubblica Tv aggiungeva che «il virus può essere ovunque. Non vi spostate». Si è spostato lui, ma di rete. L'11 marzo su Raitre è intervenuto a Chi l'ha visto mentre il 12 ha rilasciato un'intervista ad Al Jazeera. Ieri, purtroppo, è arrivata la nota: «Sono positivo». Prima di Sileri aveva scoperto di esserlo Luca Lotti, deputato del Pd, che qualcuno (ma noi non ci fidiamo dei delatori) dice di aver visto domenica 8 marzo, la notte della grande confusione, a sciare sull'Abetone. Se non c'era, gli auguriamo presto di andarci. Se c'era, presto di tornare. È rimasta invece in casa la viceministra dell'Istruzione, sempre dem, Anna Ascani. È positiva, da ieri, pure lei, ma prudentemente, ai primi sintomi, ha preferito non uscire. Un altro articolo lo meriterebbe tuttavia il mezzo con cui si comunica la notizia. Tra gli ultimi infettati c'è l'onorevole, Pd, Chiara Gribaudo che lo ha annunciato su Twitter: «Oggi è arrivata anche per me la conferma di positività». Al momento, il partito più colpito, risulta essere proprio il Pd che ha ancora il suo segretario Nicola Zingaretti chiuso in casa. Ha la febbre anche se ha rassicurato: «La respirazione va bene ed è cominciata la terapia antivirale». Per scongiurare altri contagi si è auto-isolata una corrente di partito: Francesca Bonomo, Carmelo Miceli, Francesco Critelli, Dario Parrini, Antonio Giacomelli, Alessia Rotta, senza contare il vice segretario, Andrea Orlando, che si collega in videoconferenza. È la cosa più giusta da fare.
Drammatico è stato infatti ascoltare Edmondo Cirielli, deputato questore di Fdi, positivo, che ha dovuto sopportare l'immagine del figlio con la febbre: «La vera sconfitta è stata vedere il mio piccoletto di 40 giorni, stanotte, con la febbre alta, dolorante e sofferente. Uno strazio». Se il contagio c'è stato è stato alla Camera dove si è scoperto contagiato Claudio Pedrazzini, del gruppo Misto, e dove, da giorni, una fronda trasversale chiede con insistenza il voto a distanza. «Non può chiudere il parlamento, ma non si possono causare altri contagi» è l'opinione di Stefano Ceccanti del Pd, ma anche di Michaela Biancofiore (ex Forza Italia) che invitano il presidente della Camera, Roberto Fico, a sperimentare l'inedito. Per adesso si è deciso di procedere con la sanificazione della sede di via della Mercede ordinata da Palazzo Chigi (un dipendente è positivo) e che dovrebbe mettere in sicurezza l'area.
«Meglio un parlamento che vota a distanza che un parlamento in balia della febbre» pensa Carlo Fusaro professore di Diritto elettorale e parlamentare, favorevole a soluzioni pragmatiche o, semplicemente, inevitabili. Anche la democrazia è finita ai domiciliari.
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