E gli autonomi vogliono riparare la biblioteca dopo la distruzione

Prima l'hanno devastata. Ora vogliono «ripararla», dando la colpa della devastazione alla polizia. A Bologna continuano i paradossi dei collettivi studenteschi che, dopo aver trasformato la biblioteca di via Zamboni 36 nella succursale di un centro sociale (costringendo il rettore a chiedere l'intervento della forza pubblica per ripristinare la legalità), ora tentano di accreditarsi agli occhi dell'opinione pubblica come «vittime» di una «brutale repressione». Ieri si sono presentati davanti alla biblioteca con pennelli, vernice e ramazze, ma l'hanno trovata chiusa per ordine dell'università. E così rimarrà fin quando la riapertura sarà garantita «con regole che ne assicurino la corretta fruizione», come recita il comunicato dell'ateneo. E chissà se anche allora i collettivi continueranno della loro opera di devastazione, la stessa che li ha spinti la settimana scorsa a sradicare i tornelli di ingresso che l'ateneo aveva fatto sistemare nel tentativo di monitorare in qualche modo gli accessi nella struttura divenuta ormai un far west. «Il Giornale» l'altro ieri ha riportato per primo la clamorosa testimonianza della direttrice della biblioteca, raccontando come nella biblioteca ormai fosse diventata consuetudine drogarsi, minacciare, spacciare, rubare e lasciarsi andare ad atti vandalici di qualsiasi tipo. Con la conseguenza che la prepotenza di una minoranza aveva di fatto sottratto ai veri universitari un luogo di cultura e studio.

Intanto ha superato le 6mila firme la petizione degli studenti che non solo si sono dissociati dal Collettivo universitario autonomo (lo stesso che ha rivendicato la «rimozione» dei tornelli della discordia), ma hanno espressamente condannato il «comportamento violento del Cua».NiMat

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