E i teoremi sulla mafia? Smontati

Scenari, suggestioni e molto fumo. Ma l'arrosto servito dai processi "politici" siciliani è poca cosa

E i teoremi sulla mafia? Smontati

Scenari, suggestioni e molto fumo. Ma l'arrosto servito dai processi «politici» siciliani è poca cosa. I teoremi costruiti in questi anni sui rapporti fra il potere politico più pezzi delle istituzioni e Cosa nostra fanno i conti con una sequenza di assoluzioni che cominciano ad essere tante per non mettere in crisi il metodo di lavoro seguito dalla Procura di Palermo a partire dal 1992. Assolto due volte il generale Mario Mori: per la mancata perquisione nel covo di Totò Riina e per la mancata cattura di Bernardo Provenzano. Ora pure la corte d'Appello sconfessa l'accusa che, per salvare il salvabile, consapevole di andare incontro ad una sconfitta, aveva ridimensionato il capo d'imputazione eliminando l'aggravante dell'aver agito nell'interesse di Cosa nostra. Ed è stato assolto pure uno dei protagonisti della presunta trattativa: l'ex ministro Calogero Mannino che aveva scelto il rito abbreviato. Ci saranno state opacità e connivenze, ma almeno sul piano giudiziario quel legame criminale stretto dietro le quinte non trova riscontri. E se andiamo indietro nel tempo scopriamo che più di una volta le grandi ombre si sono dissolte e la realtà, non addomesticabile agli schemi, ha sconfitto la teoria. Un flop i processi Andreotti, modesto il risultato su Marcello Dell'Utri perché se è vero che l'ex senatore è stato condannato a 7 anni, è altrettanto certo che il verdetto fotografa rapporti con i boss risalenti a venticinque-trent'anni fa e si ferma allo spartiacque del 1992. Insomma, il capitolo più intrigante e suggestivo, quello di cui hanno parlato decine di libri, articoli e film, non c'è: la nascita di Forza Italia, nonostante i tentativi ripetuti di Ingroia e degli altri pm in trincea, non può essere raccontata con i parametri della cronaca giudiziaria. Sarà perché la materia è ostica e a tratti impenetrabile, ma alla grande semina delle procure non ha corrisposto il raccolto atteso. Semmai il tempo fa emergere la fragilità degli elementi assemblati, anche nei pochi procedimenti in cui la linea della procura ha vinto. Ed ecco che Bruno Contrada, uno dei pochi pesci grossi rimasti impigliati nella rete, sconta la pena per scoprire poi a Strasburgo che non può essere condannato per un reato, il concorso esterno, che fino al 1994, era mal configurato. Lo stesso problema si ripropone per Dell'Utri, il cui ricorso verrà discusso nei prossimi mesi in Cassazione. Molte assoluzioni. Poche condanne, come quella di Totò Cuffaro. Punti di domanda che rimbombano in attesa di risposte che non arrivano. In un groviglio inestricabile di procedimenti che si attaccano gli uni agli altri.

Col risultato di trasformare gli inquisiti in imputati a vita. Anche per l'ex vicepresidente del Csm Nicola Mancino, la prossima tappa sarà la sentenza del dibattimento sulla trattativa Stato-mafia. Anche se già incombe, secondo il modello palermitano, l'inchiesta bis.

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