E la moglie di Franceschini inciampa sul congiuntivo: "Se questi fatti avrebbero..."

Esordio fantozziano in aula della capogruppo Di Biase Il ruolo del marito e il giallo sul voto interno ai dem

E la moglie di Franceschini inciampa sul congiuntivo: "Se questi fatti avrebbero..."

«V orrei capire come si fosse, si sarebbe comportato il M5s, come vi sareste comportati voi se questi accadimenti avrebbero riguardato», tuona concitata Michela di Biase, capogruppo Pd in Campidoglio, scivolando sulla sintassi durante uno dei momenti più tesi della seduta straordinaria di mercoledì scorso su emergenza rifiuti e caso Muraro. Una bordata di sberleffi e risate accompagna lo sfondone. Soprannominata anche «Lady Franceschini» per la sua relazione con il ministro della Cultura, donna umorale e impetuosa, la Di Biase corregge e tira dritto, ma ormai il pathos è svanito. I periodi ipotetici, si sa, sono insidiosi, e la retorica, quando non è un dono, è arte che va coltivata.

Se ne va così in archivio la prima prova d'aula della «nuova Debora Serracchiani» del Pd, fra l'imbarazzo dei suoi e le ironie degli avversari. Ma lei non se ne cura. Anzi, a sentire i suoi detrattori dentro il partito romano, sarebbe piuttosto incline a soffermarsi sui difetti altrui. Magari però è solo invidia, per la compagna di partito che ha saputo conquistare un compagno così altolocato.

Classe 1980, una passione politica coltivata nella sezione Ds del quartiere Alessandrino della periferia romana, «Lady Cultura» dal 2006 si butta nella mischia come consigliera municipale. Poi nel 2011 il colpo di fulmine con l'allora capogruppo dem alla Camera. Un amore vissuto all'inizio in clandestinità, l'ex segretario del partito si è appena separato dopo 24 anni di matrimonio. Poi alle Amministrative del 2013 Michela Di Biase tenta il grande salto, candidandosi al Consiglio comunale. Per la campagna elettorale si prodiga anche il compagno Dario, con sms ad amici e conoscenti nei quali chiede di votare per lei. Scoperto e sbertucciato sui social network, il futuro ministro dei rapporti col Parlamento del governo Letta non ci trova nulla di strano, ma nel partito romano cominciano a serpeggiare i primi malumori. Con l'outsider Marino il Pd vince, la Di Biase entra in Consiglio comunale con 3.700 preferenze, e arriva anche la nomina a presidente di commissione. Quale? Ma alla Cultura, ovvio.

Neanche il tempo di assaporare la posizione conquistata e i fiori d'arancio col ministro della Cultura, e scoppia lo scandalo Mafia Capitale, culminato con la caduta del sindaco «marziano». Tutto da rifare. Si racconta allora che «Lady Cultura» in occasione della ricandidatura avrebbe preteso un «assegno in bianco» dal candidato sindaco Giachetti: la presidenza del Consiglio comunale in caso di vittoria; almeno il ruolo di capogruppo in caso di sconfitta. E che per ottenere lo scopo, oltre al marito si sarebbe speso anche il presidente del partito Orfini, non avendo più un mestiere se non quello di renziano, ironizza amara la minoranza del partito a Roma.

E così è stato, poiché ad oggi non risulta che la De Biase sia stata votata dal gruppo. Insomma una «auto-nominata» capogruppo, quella che l'altro giorno ci ha regalato un exploit degno dell'impetuosa fruttivendola romana del vecchio film Campo de' Fiori. Certo, Anna Magnani era un'altra cosa.

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