Eletto Lasso, il banchiere che frena la sinistra

Dopo 14 anni di sinistra al potere radicale e corrotta nei primi 10 anni con Rafael Correa al potere, moderata e più onesta dal 2017 in poi con Lenin Moreno in Ecuador cambia la musica

Eletto Lasso, il banchiere che frena la sinistra

Dopo 14 anni di sinistra al potere radicale e corrotta nei primi 10 anni con Rafael Correa al potere, moderata e più onesta dal 2017 in poi con Lenin Moreno in Ecuador cambia la musica. Con il 53% dei voti ottenuti l'altro ieri, il successore di Lenin alla presidenza dell'Ecuador sarà infatti l'economista ed ex banchiere Guillermo Lasso. Cattolico praticante vicino all'Opus Dei, questo 65enne si insedierà il prossimo 24 maggio per rafforzare una serie di istanze riformiste e pro libero mercato. Alcune delle quali già iniziate timidamente da Lenin dopo il decennio statalista e di spese pubbliche sfrenate finanziate dalla Banca Centrale, che Correa controllava. Sconfitto a sorpresa Andrés Araúz, ex ministro «della Conoscenza e del Talento Umano» di Correa che, dunque, per ora rimane nel suo eremo di latitanza belga, visto che se torna a Quito sarebbe arrestato dopo la condanna passata in giudicato per corruzione a 8 anni di carcere. Araúz era il prestanome dell'ex presidente che ha fatto sparire dalle casse dello Stato durante la sua «revolución ciudadana» 7 miliardi di euro, oltre ad avere intascato tangenti milionarie dalla multinazionale brasiliana Odebrecht ed avere perseguitato gli indigeni che si opponevano agli investimenti minerari cinesi sulla Cordigliera del Condor. Tutto questo gli elettori dell'Ecuador, indigeni compresi, se lo sono evidentemente ricordato l'altro ieri, smentendo i sondaggi e trombando il prestanome di Correa, Araúz per l'appunto.

Molti i problemi che il neopresidente Lasso dovrà affrontare quando si insedierà, in primis il debito che strangola l'Ecuador e le rivendicazioni degli indigeni. Questi ultimi avevano annunciato alla vigilia del voto l'astensione non concordando con i programmi di entrambi i candidati ed avendo avuto il loro leader, Yaku Perez, sconfitto al primo turno di stretta misura. Alla fine sono però accorsi in massa alle urne. Nonostante la pandemia, infatti, oltre l'80% degli aventi diritto hanno votato, indigeni compresi.

Il dato più significativo è però forse un altro.

Quella dell'altro ieri è una sconfitta pesante per la sinistra latinoamericana perché potrebbe segnare una tendenza in questo 2021, dove nei prossimi mesi si sceglieranno anche i presidenti di Perù, Cile, Honduras e Nicaragua, anche se a Managua l'esito è scontato, essendo una dittatura di sinistra, come Cuba e Venezuela.

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