La sua sentenza più celebre, quella che scolpì la condanna definitiva del Cavaliere per frode fiscale, è al centro da molti anni di critiche, rivelazioni, prese di distanza. Ma lui continua a dare lezioni e a cavalcare a modo suo, da tecnico del diritto, l'onda giustizialista che in Italia è sempre alta. E così Antonio Esposito, giudice ormai in pensione, sconfessa dalle colonne del Fatto quotidiano il verdetto della Corte d'appello che ha assolto l'ex sindaco di Lodi, Simone Uggetti, arrestato nel 2016.
Ricordate? Uggetti si era preso 10 mesi di carcere per una turbativa d'asta relativa alla gestione delle piscine comunali, ma al secondo giro era arrivata l'assoluzione. E, a sorpresa, una lettera di Di Maio al Foglio che si cospargeva il capo di cenere.
Esposito non si pente. Ha sempre difeso a spada tratta la decisione del collegio di Cassazione da lui guidato che nel 2013 aveva dato all'ex premier quattro anni di carcere, ora attacca i colleghi che avrebbero preso una cantonata, scagionando il politico del Pd.
Va giù piatto Esposito: «Si tratta di un'erronea e arbitraria interpretazione della norma (...) e il bene tutelato dalla norma è esattamente il contrario di quello sostenuto dalla corte (...) sì che coloro che hanno interesse a partecipare alla gara devono poter fare affidamento a che nessuna irregolarità, nessuna anomalia procedurale alteri le regole e, cioè, il corretto andamento della gara».
Per carità, le sentenze si possono sottolineare con la matita blu ma è quantomeno raro imbattersi in una toga che senza tanti giri di parole faccia a pezzi un verdetto, dia ragione in modo plateale, al di là delle questioni sollevate, al giudice di primo grado e si erga a Cassazione virtuale, mentre il procedimento è ancora in corso.
Insomma, un'incursione spericolata, anche se Esposito sviluppa un suo ragionamento, e dai toni fatalmente manettari: Uggetti è diventato nel Paese uno dei simboli dello strapotere giudiziario. L'arresto, la gogna e poi la scoperta sconcertante che le accuse non erano fondate. La Corte d'appello di Milano spiega nelle motivazioni del verdetto, appena pubblicate, che «ci si deve confrontare con la necessità di non dover punire indiscriminatamente le mere irregolarità formali attinenti all'iter procedimentale, irregolarità che invece devono essere idonee a ledere i beni giuridici protetti dalla norma».
Insomma, se c'è stato peccato era veniale e non di sostanza. Ma Esposito boccia su tutta la linea le argomentazioni di rito ambrosiano e conclude sottolineando «il grave errore di diritto che legittima un ricorso» alla Suprema corte.
Il contrario di quel che a maggio scorso aveva detto Di Maio, rivolgendosi con toni accorati all'ex primo cittadino di Lodi: «Anch'io contribuii ad alzare i toni e a esacerbare il clima. È giusto che in questa sede io esprima le mie scuse».
Così il ministro degli Esteri. Ma per Esposito l'assoluzione fa acqua da tutte le parti. E se si sfoglia il Fatto e si passa da pagina 11 a pagina 15, si scopre che il giudice è in buona compagnia.
Massimo Casiraghi, consigliere comunale 5 stelle a Lodi e parte civile nel processo Uggetti proclama a tutta pagina: se Di Maio chiede scusa è un problema suo, io e gli attivisti del Movimento non abbiamo niente di cui scusarci.Le sentenze, a quanto pare, si rispettano di più se confermano il carcere.
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