Il tono degli alti funzionari della Casa Bianca, che nelle prime ore di lunedì convocano telefonicamente un ristretto gruppo di testate giornalistiche, tra cui il Giornale, è a metà tra l'eccitato e il disteso: «Mission accomplished». Missione compiuta. Far «sparire» per ore dai radar un presidente degli Stati Uniti e farlo riapparire in una zona di guerra non è impresa facile, soprattutto se non si dispone di proprie truppe sul terreno, non si ha il controllo dello spazio aereo e si dispone solo di un ristretto distaccamento di Marines a guardia di un'ambasciata con «staff ridotto». A spiegare ai giornalisti come è andata, sono la direttrice delle Comunicazioni della Casa Bianca, Kate Bedingfield, il consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan, e il suo vice, Jon Finer. La missione «storica» e «senza precedenti per un presidente» è stata frutto di una «meticolosa pianificazione» che andava avanti «da mesi» e alla quale hanno partecipato «una manciata di funzionari» tra Casa Bianca, Pentagono, Secret Service e intelligence. La decisione finale sul «go» o «no go» è stata presa appena venerdì, nel corso di una riunione nello Studio Ovale.
È in quel momento che è scattato il piano. Primo passaggio, confondere il resto del mondo sugli spostamenti del presidente. Secondo il programma ufficiale, Joe Biden sarebbe dovuto partire per Varsavia nella serata di lunedì. In realtà, il suo corteo di auto è uscito dalla Casa Bianca alle 3.30 di domenica mattina (ora di Washington). Ad attenderlo sulla pista della Joint Base Andrews, non il consueto Air Force One, ma un più discreto C-32, un Boeing 757 modificato, usato solitamente per i viaggi interni. A bordo con il presidente, un gruppo ristretto di funzionari: lo stesso Sullivan, il vice capo dello staff della Casa Bianca, Jen O'Malley Dillon, e la direttrice delle operazioni dello Studio Ovale, Annie Tomasini. Con loro, gli uomini di scorta del Secret Service, l'aiutante militare con la «valigetta nucleare», un ristretto team medico e il fotografo ufficiale della Casa Bianca. Due soli i giornalisti ammessi, rispetto al solito seguito. Il C-32 decolla alle 4.15: nome in codice del jet, SAM060, quello impiegato per le «Special Air Mission». Venti ore dopo, Biden ricompare a Kiev, al fianco di Volodymyr Zelensky.
È in questo frangente, tra il «go» deciso venerdì e il decollo, che Washington ha avvertito Mosca di quanto stava accadendo. «Abbiamo notificato ai russi che il presidente Biden sarebbe andato a Kiev. Lo abbiamo fatto alcune ore prima della partenza per finalità di deconflittualità», dice Sullivan, senza riferire il contenuto esatto del messaggio o l'interlocutore russo. L'«allerta», spiega, era però necessaria per evitare che per un calcolo sbagliato potesse scoppiare una guerra tra due potenze nucleari. Dopo una sosta per il rifornimento in Germania, l'aereo con a bordo il presidente Usa spegne il transponder per il breve volo, circa un'ora, verso l'aeroporto di Rzeszow, in Polonia, divenuto nell'ultimo anno l'hub dei miliardi di dollari di aiuti militari inviati dagli Usa e dall'Occidente all'Ucraina. Biden arriva a Kiev alle 8 di ieri, lunedì. Il tragitto dal confine polacco rimane al momento coperto da segreto. «Forniremo più dettagli nei prossimi giorni», risponde Bedingfield, ma è il New York Times a parlare apertamente di un «viaggio di dieci ore in treno».
Alla domanda se nel colloqui con Zelensky il presidente Usa abbia discusso della fornitura dei missili tattici Atacms e dei caccia F-16, è Sullivan a intervenire: «Non ci sono annunci da fare, oggi. Ma c'è stata una buona discussione sulla questione». È sempre Sullivan a parlare degli aspetti «politici» del confronto tra i due presidenti, compresa la «formula» proposta da Zelesnky, per una «pace sostenibile e duratura». Biden, in questi giorni è stato pressato dai Repubblicani, che chiedono un'«accelerazione» nella fornitura di armi a Kiev, anche i caccia F-16, perché una «guerra lunga» giocherebbe a vantaggio di Putin.
In attesa di una decisione definitiva, il messaggio di Biden è chiaro: qualunque sarà l'esito della missione di «pace» del ministro degli Esteri cinese a Mosca, qualunque sarà la proposta annunciata da Xi Jinping, gli Usa rimarranno al fianco di Kiev «per tutto il tempo necessario». L'obiettivo di Washington rimane quello ripetuto da tempo: «Far sedere l'Ucraina al tavolo della trattativa in una posizione di forza».
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