Il fastidio di Draghi per le mediazioni. E la tentazione di sfilarsi presto per salire al Colle

Non c'è più tempo per accontentare tutti. La fotografia di questa stagione è Mario Draghi che dice ai sindacati: "Ora devo andare. Ho un altro impegno"

Il fastidio di Draghi per le mediazioni. E la tentazione di sfilarsi presto per salire al Colle

Non c'è più tempo per accontentare tutti. La fotografia di questa stagione è Mario Draghi che dice ai sindacati: «Ora devo andare. Ho un altro impegno». Landini, Sbarra e Bombardieri sono rimasti un po' interdetti: ma non si discute più? La prossima volta. L'idea era di prendersi qualche giorno di riflessione. Breve, per capire quello che c'è in ballo, per non fare nottata. La riforma delle pensioni è una di quelle cose che l'Europa si aspetta prima di aprire il portafoglio. Non è solo centrale per i conti pubblici, ma è una questione di fiducia. È come pagare la prima rata del mutuo. Cgil, Cisl e Uil hanno promesso: non ci piace, ma per ora teniamo basso il livello dello scontro. Poi sono usciti fuori e hanno urlato: sciopero, mobilitazione. Draghi ha capito che c'è poco da fidarsi. Ci vuole pazienza, ma lui ne ha sempre meno.

Il giorno dopo, cioè ieri, è andato in consiglio dei ministri con il decreto Recovery, le disposizioni urgenti per l'attuazione del piano di ripresa e resilienza. Approvato. Non ci sono stati troppi mugugni. Draghi poi ha riunito la cabina di regia, dove è arrivata la notizia di una sforbiciata al reddito di cittadinanza. La speranza è che si parta sul serio. I ministri e i commissari non dovrebbero avere più scuse. Si deve arrivare a febbraio con le riforme approvate e qualcosa di concreto messo a terra. La ripresa non è solo una lunga colonna di fogli di carta. Quando arriveranno i soldi bisogna spenderli per dare all'Italia un futuro. È quello che Draghi continua a dire a tutti: ai partiti, alle parti sociali, agli italiani. È arrivato il momento dei sì e dei no, perché governare significa scegliere. Salvini, per esempio, sembra averlo capito: «Conte era il maestro del perenne rinvio. Draghi fa bene ad ascoltare e poi a decidere».

C'è una cosa che in effetti hanno notato tutti. L'atteggiamento del presidente del consiglio è più marcato. È ancora più spiccio. Non fa nulla per nascondere il fastidio, come se volesse ricordare come è cominciata la sua storia a Palazzo Chigi. Non si è candidato. È stato cercato, chiamato, convinto e lui ci ha messo la faccia. È diventato il garante davanti a tutti della scommessa italiana. La maggioranza dei partiti si è accomodata dietro il suo velo. Se adesso la sua figura è diventata scomoda o ingombrante non ha alcuna intenzione di restare al suo posto a dispetto dei santi.

Draghi conosce le vicende del marziano a Roma di Flaiano e sa che con il passare dei mesi perfino gli extraterrestri finiscono agli occhi della gente per rompere la scatole. Normalizzati. Scontati. Noiosi. Allora si interroga sull'usura dei suoi poteri. Fino a quando verrà considerato una risorsa super partes? Il pensiero di fare un passo di lato c'è. È chiaro che lo spazio bianco del Quirinale non è un'opzione da ignorare. È lì e qualcuno ci deve andare. Draghi non dirà mai una parola per ricordare che in qualche modo gli è stato promesso. Non si giocherà la partita indossando un numero di gara. Non si vestirà da concorrente. È abbastanza smaliziato da conoscere le regole non scritte della corsa al Colle. Il tuo nome rimbalza in alto solo per il gusto di essere impallinato. È il modo più furbo per fargli abbassare le ali. È lasciarlo al governo con il carisma macchiato, come una vecchia coperta da mettersi addosso quando serve. Farà di tutto perché non vada così. Allora si spiega perché non fa più sconti di cortesia.

Quello di Draghi non è un piano. È una via d'uscita alla politica dei ricatti e dei mugugni. È un atto di forza. È da qui che arrivano gli affondi su «quota cento» e sul reddito di cittadinanza. È da qui che spuntano i colpi a tutte le bandiere. Il ragionamento potrebbe essere più o meno questo. Se è cominciata la caccia al «marziano» è meglio si chiuda in fretta. Questo è il momento migliore per farsi da parte. L'Italia però non può fare a meno di lui. È una sorta di assicurazione sul destino del Recovery e questo lo sanno tutti i partiti della maggioranza. Ne è cosciente perfino il Pd.

La tentazione di fare come Cincinnato insomma c'è e a quel punto non gli resta che aspettare di essere richiamato per accomodarsi con tutti gli onori al Quirinale. È per l'Italia una garanzia diversa, meno operativa, più nobile, sufficiente comunque per rassicurare chi in Europa non si fida dei bizantinismi della politica romana.

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