Renato Brunetta è per il No al referendum sul taglio dei parlamentari. E lo è da tempo. Non solo sul merito del taglio (taglio lineare dei parlamentari non supportato da una conseguente riforma costituzionale del bicameralismo e da una riforma elettorale adeguata) ma anche per un ragionamento politico.
Al di là del merito, sui cui torneremo, può subito dirci a chi converrebbe e perché la vittoria dei No al referendum del 20 e 21 settembre?
«Converrebbe innanzitutto al centrodestra, ma ovviamente a tutti coloro che ancora credono nella democrazia parlamentare e soprattutto a coloro la cui vista non è annebbiata dai fumi dell'antipolitica».
Una vittoria dei No non sposterebbe gli equilibri parlamentari. Insomma non cadrebbe automaticamente il governo.
«Il taglio dei parlamentari è da sempre una battaglia grillina. Su questa battaglia hanno prima imposto la convergenza della Lega per costruire il Conte 1 e poi quella di Zingaretti per il Conte 2. Se dovesse fallire questo disegno anche il peso politico dei Cinquestelle crollerebbe. Ma è soprattutto il centrodestra che deve approfittare di questa battaglia politica per riconquistare la centralità della scena».
In che senso?
«Alle ultime politiche la coalizione è stata il soggetto più votato con il 37% delle preferenze. In quel caso sbagliò Salvini a non cercare in parlamento i voti necessari per creare una maggioranza. E si è lasciato che a condurre il gioco fosse il Movimento di Grillo con il 32% dei parlamentari».
Il referendum confermativo serve però per ratificare una riforma votata a larga maggioranza dal Parlamento. Secondo lei quella larga maggioranza non è specchio del sentimento del Paese?
«Secondo me no, non più. E poi tenga conto che quella che lei chiama larga maggioranza parlamentare votò senza convinzione, perché condizionata proprio dall'opinione pubblica. Ma da allora a oggi di cose ne sono cambiate e anche molte».
Cosa è successo?
«Intanto l'anticasta dei grillini si è fatta casta ed è difficile che la nuova casta si metta a urlare contro i parlamentari. Ovviamente è anche e soprattutto intervenuta la pandemia che non soltanto ha posto tutti noi di fronte a problemi di una straordinaria urgenza, come la salute e la precarietà del posto di lavoro, ma ci ha messo di fronte a un modo di gestire l'emergenza che non rispetta il ruolo del parlamento».
Si riferisce al già tanto vituperato abuso di Dpcm da parte del premier Conte?
«A quello ma non solo. La crisi economica e sociale che viviamo non ha pari nella nostra storia recente. Chi è nato dopo il 1945 non può ricordare un momento altrettanto drammatico della nostra vita collettiva. E in questi frangenti si ritorna a concentrarsi su valori fondamentali capaci di difendere le nostre libertà e i nostri diritti».
Torniamo al merito del referendum. Perché voterà No?
«Se vincesse il Sì si produrrebbe solo un taglio lineare ma non cambierebbe nulla, anzi si peggiorerebbe l'efficienza della macchina parlamentare. Se vincesse il No, invece, si potrebbe rimettere al centro la politica e con la crisi dell'esecutivo si potrebbe anche tornare alle urne. Magari dopo aver fatto un patto d'onore proprio con i partiti del centrosinistra per far sì che la prossima legislatura sia una legislatura costituente. Capace cioè di una vera e chiara riforma delle Camere».
A parte assestare un duro colpo politico ai Cinquestelle, cosa produrrebbe la vittoria del No?
«Il centrodestra oggi è già maggioranza nel Paese. E un impegno serio per rimettere al centro dell'azione politica il parlamento farebbe proprio della nostra coalizione un soggetto istituzionalmente affidabile capace anche di indicare il prossimo presidente della Repubblica. E poi mi libererebbe da un incubo».
Quale?
«Vedere Grillo che dopo la vittoria del Sì, in uno dei suoi spettacoli, se ne esce a sorpresa con un Ma io scherzavo!».
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