Noa sulla motocicletta, trascinata via dai mostri mentre il suo compagno resta nelle loro mani, Noa che urla mentre le gettano uno straccio sul volto e la schiacciano fra due assassini nella corsa verso una prigionia che ieri ha raggiunto i 246 giorni. Era il simbolo della sciagura invincibile, della vittoria del male. Sua madre, in fin di vita, voleva rivederla ancora una volta, ormai Israele piangeva la sua tragedia. Fino a ieri: quando qualcuno ha bussato alla porta: «È l'esercito, siamo venuti a salvarti». Israele ha pianto di commozione per strada, nelle case, davanti alla tv, Noa sorrideva, abbracciava Bibi, andava dalla mamma all'ospedale. In canottiera nera Almog appena liberato piangeva al telefono con gli amici impazziti di gioia, Shlomo urlava «amore mio» alla moglie mentre lei correva da lui.
Famiglie, ragazzi con la bandiera per strada, bambini felici... Israele dopo il 7 ottobre per la prima volta in festa, non solo del ritorno degli ostaggi. È la festa del rinnovamento della fiducia. La spirale della depressione ripete ossessivamente: gli ostaggi sono morti o in condizioni irrecuperabili, la loro sorte è nella mani di Sinwar, balle che l'Idf possa aiutarne la liberazione con la pressione militare, non c'è che piegarsi al volere di Hamas: cessate il fuoco per restare al potere. Dunque, recitava il breviario dei luoghi comuni, Netanyahu deve fermare la guerra con un accordo a tutti i costi, invece sacrifica i rapiti alle sue ambizioni politiche. E poi: la frattura interna separa esercito e reparti speciali dal governo, il governo stesso è a pezzi, Gantz sta per abbandonarlo. Questa costruzione ieri è crollata sotto il peso di una valanga di emozione, di lacrime e sorrisi, di abbracci e di congratulazioni quando Noa, Shlomi, Almog e Andrei che sono stati salvati a Nuseirat, in una zona fra le più impossibili da penetrare, da un commando dell'esercito, ieri sono stati stretti fra le braccia di un Bibi commosso come non mai, Joni, suo fratello, cadde a Entebbe. Per Israele è stato importante riconoscere ieri il suo leader, vittorioso.
Israele per un attimo non soffre delle solite divisioni. L'operazione di svolta si è disegnata giovedì con una riunione segreta in cui il premier ha dato il placet all'operazione: c'erano il ministro della Difesa Gallant, il capo di stato maggiore Halevi, i capi delle unità di sicurezza. In particolare, la mitica Yamam antiterrorismo, ha compiuto un'operazione impossibile, che resterà, come Entebbe, nella storia. Anche qui un eroe è caduto, come a Entebbe cadde Joni Netanyahu, il 36enne Arnon Smora (foto), che lascia due bimbi: una pallottola lo ha colpito alla testa mentre combatteva al terzo piano in uno dei due appartamenti in cui erano rinchiusi gli ostaggi, quello dei tre maschi. Noa era in un alloggio a 200 metri. Se le due operazioni non fossero state compiute con perfetto sincronismo, i prigionieri sarebbero stati eliminati. Solo ieri mattina a un'ultima verifica, Netanyahu ha dato l'ok: una scelta in cui tra fallimento e successo «c'era un capello di distanza». «Non ci ho pensato un minuto - ha detto ad Andrei - vi riporteremo tutti a casa». Sarebbe stato un disastro politico e militare forse definitivo non riuscire, e l'ha fatto lo stesso. Gantz naturalmente, peraltro avvertito da giovedì sera, ha rimandato l'uscita prevista per ieri.
Hamas rimugina.
Può andare verso l'accettazione dell'accordo di Biden, visto che l'attacco ha dimostrato la forza di Israele; oppure spingerà Sinwar a giocare il tutto per tutto sadicamente sui 116 ancora nelle sue mani. Quello che è certo è che in Israele, col dolore per Smora, con la promessa di restare saldi nel recupero dei rapiti, si respira aria di unità, di bravura. E forse anche di fortuna, finalmente.
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