Il caso dell'espulsione del senatore Vito Petrocelli, presidente della Commissione Esteri di Palazzo Madama con simpatie filo-russe e filo-cinesi, rianima la battaglia interna al M5s. Le procedure per la cacciata sono state già avviate. L'accusa dei vertici e dello stesso Giuseppe Conte è di aver violato il regolamento grillino, perché il discusso parlamentare non ha votato la fiducia al governo sul decreto Ucraina. Conte ha già dichiarato: «Si è messo fuori da solo».
Petrocelli, da parte sua, in un tweet invita i Cinque Stelle a buttare giù l'esecutivo di Mario Draghi. «Credo sia sempre più evidente che la priorità del M5S in questa fase storica sia togliere la fiducia al governo Draghi e ritirare i ministri. Tutto il resto sta a zero, comprese le etichette tipo putiniano d'Italia», scrive il senatore. Che non intende mollare la presidenza di Commissione e rilancia, anche dopo alcune recenti prese di posizione contro la sua espulsione da parte di alcuni esponenti del Movimento, come il vicecapogruppo al Senato Vincenzo Garruti e il senatore Primo Di Nicola.
Che però non sono delle voci isolate. L'affaire Petrocelli, nel magmatico gruppo di Palazzo Madama, sta diventando il pretesto per mettere in discussione, per l'ennesima volta, la leadership di Conte. Così il procedimento disciplinare contro il parlamentare, soprannominato «compagno Petrov», risveglia le varie dissidenze. I tanti scontenti che contestano un meccanismo decisionale «totalitario» e «centralizzato» che stronca il dibattito interno con la scure delle epurazioni. Difficile quantificare le proporzioni numeriche esatte del drappello di chi manifesta, esplicitamente o implicitamente, il fastidio per la ritorsione ai danni di Petrocelli. Ma il sentiment contro Conte sta crescendo di nuovo. E il caso Petrocelli si trasforma in un'opportunità per contestare i vertici.
I malpancisti più agguerriti sono una decina, ma soprattutto al Senato il gruppo è composto da cani sciolti che non si identificano in alcuna corrente, nemmeno in quella guidata dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio. La maggior parte di chi, in questi giorni, sta esprimendo il suo malessere ci tiene a precisare che si tratta di «una questione di metodo, non di merito». Quasi nessuno dice di condividere il furore filo-Putin e anti-Nato di Petrocelli. «Non si può espellere un senatore per una sua posizione in politica estera, seppur non condivisibile, soprattutto non lo si può fare senza un'approfondita discussione politica», spiega un eletto pentastellato. C'è chi sottolinea come Petrocelli abbia sempre esercitato con equilibrio le sue funzioni di presidente di Commissione. Un senatore, parlando con Il Giornale, mette nel mirino direttamente Conte: «Il nostro leader di recente ha detto di essere sensibile ai temi che pone Marine Le Pen, è una posizione che non condivido, quindi allora che facciamo, espelliamo anche lui?».
Di contro, da ambienti vicini all'ex premier precisano che l'avvio del procedimento di espulsione è un atto obbligatorio, perché Petrocelli non ha votato la fiducia. E chi non ha votato la fiducia a Draghi l'anno scorso è stato cacciato senza tanti complimenti.
Quindi un'eccezione per il senatore lucano costituirebbe un precedente.«Petrocelli ha perso credibilità e se non si dimette resta in piedi l'ipotesi dello scioglimento della commissione», ribadisce un senatore del Pd in Commissione Esteri. Intanto Petrov non molla.
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