Preso in giro per anni dalla madre delle sue figlie e dal di lei fratello e per questo, per anni, costretto a mentire. Salvo decidersi a vuotare il sacco quando lo scandalo, dai giornali, s'è trasferito in tribunale. L'ultima verità di Gianfranco Fini sulla vicenda della casa di Montecarlo arriva quando il fondatore di An viene ascoltato, in aula, nel processo dov'è imputato per riciclaggio insieme ai Tullianos: la compagna Elisabetta, suo fratello Giancarlo e il padre dei due, Sergio. «La vendita dell'appartamento di Montecarlo è stata la vicenda più dolorosa per me, sono stato ingannato da Giancarlo Tulliani e dalla sorella Elisabetta», sospira Fini. «Solo nel dicembre 2010 aggiunge - ho scoperto che il proprietario della casa era Tulliani e ho interrotto i rapporti con lui».
Sono passati 4606 giorni dal 27 luglio del 2010, quando il Giornale scoprì che in un appartamento monegasco lasciato in eredità ad An dalla nobildonna romana Anna Maria Colleoni abitava Gianfranco Tulliani, cognato dell'allora presidente della Camera, Fini. Quel giorno di undici anni fa deflagrò la vicenda della casa di Montecarlo e iniziò l'alzata di scudi dello stesso Fini, dei suoi compagni di partito e dei suoi familiari per negare tutto. Ma la verità venne a galla, anche grazie alle prove arrivate da Saint Lucia, dove avevano sede le offshore che avevano comprato l'immobile per 300mila euro, un piatto di lenticchie: il reale acquirente era proprio Tulliani. Fini però continuò a negare, anche dopo la pistola fumante caraibica. A settembre 2010 promise: «Se dovesse emergere con certezza che Tulliani è il proprietario e che la mia buona fede è stata tradita, non esiterei a lasciare la Presidenza della Camera». La lasciò solo a fine legislatura, a marzo 2013, ma adesso ammette di aver saputo che il cognato lo aveva preso per il naso già 27 mesi prima di passare il testimone a Laura Boldrini. Ben venga la verità, dunque, anche se fa emergere l'ennesima bugia detta in passato da Fini che solo ora si scopre essersi rimangiato la promessa. E anche se la nuova versione arriva solo dopo che la magistratura ha riacceso i fari sulla vicenda, all'epoca derubricata a «campagna denigratoria», con tanto di etichetta per questo quotidiano e per chi ci lavorava di «macchina del fango».
Invece, per gli inquirenti, quella casa Tulliani l'ha comprata - con i soldi di Corallo transitati per le offshore - da An, che gliel'aveva lasciata per un prezzo ben al di sotto del valore di mercato, tanto che i Tullianos l'avevano poi rivenduta, nel 2015, a 1,36 milioni di euro. Una storia di riciclaggio, secondo l'accusa e secondo il gup che, a luglio 2018, ha rinviato a giudizio per questa ipotesi di reato Fini e i suoi familiari. Dalla negazione, allora, l'ex leader di An è passato a difendersi scaricando sui Tullianos. «Sono un coglione, corrotto mai», aveva detto già all'alba delle indagini, a fine 2016, dopo le perquisizioni a casa di cognato e suocero, poi sfociate in un sequestro di beni per 5 milioni di euro ai Tulliani. Della ricca plusvalenza ricavata dalla casa Fini ha sempre negato di aver goduto in qualche maniera. E lo ha ribadito ieri. «Anche il comportamento di Elisabetta mi ha ferito - ha spiegato in aula - ho scoperto solo dagli atti del processo che lei era comproprietaria dell'appartamento e poi appresi anche che il fratello le bonificò una parte di quanto ricavato dalla vendita. Tutti fatti che prima non conoscevo».
Ingannato, insomma, dalla sua stessa cerchia familiare. E coinvolto nell'indagine dai segreti di Elisabetta&co e dalle bugie di Amedeo Laboccetta. Ex amico e compagno di partito che avrebbe mentito per inguaiarlo solo «per astio politico nei miei confronti».
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