Finto taglio agli assegni d'oro Si salvano giudici e professori

Il ricalcolo contributivo avvantaggerà le categorie che si ritirano dal lavoro più tardi e con salari elevati

Finto taglio agli assegni d'oro Si salvano giudici e professori

L'esperto di materia previdenziale Giuliano Cazzola lo aveva già spiegato sul Giornale due giorni fa. «Con il vecchio metodo retributivo il rendimento decresce fino allo 0,9% sopra i 45mila euro lordi», aveva dichiarato ribadendo che, in pratica, le pensioni d'oro sono già contributive perché la loro rivalutazione è sganciata dallo stipendio e «accoppiata» con i versamenti contributivi.

Dell'arcano hanno iniziato ad accorgersi, tardivamente, il ministro del Lavoro, Luigi di Maio, e i suoi collaboratori perché l'ipotesi di ricalcolo contributivo delle pensioni sopra i 4mila euro netti è, al momento, passata in secondo piano. Il progetto di legge D'Uva-Molinari, per come è congegnato, infatti prevede che il ricalcolo contributivo sia effettuato sulla base di una riparametrazione sull'età per il pensionamento di vecchiaia stabilita ex post dal governo giallo-verde e molto più penalizzante rispetto al passato(ad esempio nel 1993 si poteva accedere a 60 anni per gli uomini e a 55 per le donne).

Questo stratagemma, tuttavia, creerebbe un imprevisto squilibrio nel caso di categorie professionali che, per legge, accedono alla pensione in età avanzata come i magistrati e i professori universitari nell'ambito Inps o i notai e i medici per quanto attiene alle casse private. Che cosa accadrebbe con il ricalcolo contributivo? Che magistrati, professori e notai vedrebbero il loro assegno incrementato perché se si sono ritirati dal lavoro conservando una quota retributiva nel loro montante contributivo sono già stati penalizzati e ora gli verrebbe restituito quanto perso.

Di qui l'idea di procedere al taglio lineare o al contributo di solidarietà in modo da colpire interamente quella platea di 158mila percettori di assegno pensionistico sopra gli 80mila euro lordi annui indicato dal progetto di legge. Introducendo un taglio lineare del 10 o del 20% a seconda dell'importo del trattamento di quiescenza si potrebbero recuperare quei 500 milioni che il governo (e Di Maio in primis) vorrebbero utilizzare per portare le pensioni minime da 450 a 780 euro mensili.

Ora, però, questo trasferimento di risorse (che in molti casi sarà anche geografico perché le sposterà da Nord verso Sud) punirà due volte i pensionati retributivi che hanno gli assegni più alti: la prima, come detto, è relativa al calcolo dei loro assegni e la seconda sarebbe proprio nel taglio lineare di un assegno già tagliato. «Un assurdo basato su calcoli arbitrari suggeriti dal presidente dell'Inps (Tito Boeri) che si inventa pure i coefficienti di trasformazione», ha commentato l'ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, che ha sottolineato la necessità di «vigilare affinché con illusorie promesse di miglioramento del sistema pensionistico e di presunta equità non si apra un varco a una nuova spremitura degli assegni previdenziali al fine di fare cassa perché mancano i soldi per attuare le promesse del patto di governo».

Ma, diciamolo, non andrebbe meglio nemmeno se si utilizzassero i requisiti di penalizzazione previsti dal progetto di legge. Ad esempio, un lavoratore 62enne che nel 2019 volesse ritirarsi dal lavoro avendo raggiunto i 43 anni e 3 mesi di contribuzione previsti attualmente dalla Fornero, si vedrebbe l'assegno decurtato del 14,5% (sempre nella parte eccedente gli 80mila euro lordi annui) giacché il testo prevede una penalizzazione del 2,9% per ogni di anticipo rispetto all'età pensionabile che, come noto, dall'anno prossimo si alzerà dagli attuali 66 anni e 7 mesi a 67 anni.

Insomma, proprio tutto il contrario dello smontaggio della Fornero. Da una parte, si «regalerebbero» (si consenta l'uso scherzoso) quote di contributi a pensionati con assegni elevati che in passati sono stati in qualche modo calmierati. E dall'altra si incide su pensioni in esser o con un taglio lineare o con un ricalcolo arbitrario applicando età pensionabili e coefficienti di trasformazione che non erano in vigore al momento del pensionamento di chi verrebbe colpito.

A buon diritto il capogruppo di Fi al Senato, Anna Maria Bernini, ieri ha chiesto al Carroccio chi stia davvero a sinistra «È la Lega che deve decidere se sottomettersi definitivamente al M5S, che è un Pd al cubo e che ha imposto la sua linea pauperista perfino sul taglio delle pensioni».

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